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Meglio rinunciare alla privacy oppure a WhatsApp?

Alessandro Alongi di Alessandro Alongi
24 Gennaio 2021 09:28
in Società
Tempo di lettura: 3 minuti
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Meglio rinunciare alla privacy oppure a WhatsApp?
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La celebre App di messaggistica, subissata dalle polemiche in relazione al cambio delle regole di riservatezza, annuncia lo stop alla condivisione dei dati degli utenti con Facebook. Ma il destino dei nostri dati sul web, purtroppo, è soltanto rimandato.

Dopo anni di uso (e abuso) dei dati personali di ciascun utente sul web all’improvviso, come destati da un meraviglioso sogno, miliardi di persone nel mondo stanno prendendo coscienza che esiste un problema.

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Il detonatore è stato l’annuncio di WhatsApp, qualche giorno fa, di voler cambiare le proprie condizioni contrattuali a far data dal prossimo 8 febbraio (data, dopo le divampanti polemiche, spostata in là di qualche mese), per continuare ad usare la famosa app di messaggistica bisognerà accettare in toto le nuove regole.

In realtà, per l’utente privato cambia ben poco. Grosse novità, invece, per tutte quelle aziende che usano la popolare applicazione per comunicare con i propri clienti, una vera miniera di informazioni commerciali. Grazie infatti alla possibilità offerta dalle nuove regole sulla privacy (che l’utente è costretto ad accettare pena non poter usufruire più dell’app), sarà possibile analizzare e trasferire a Facebook le informazioni relative alle conversazioni intrattenute tra gli utenti e le aziende per finalità di marketing.

Giova ricordarlo, è una piattaforma di proprietà di Facebook. La creatura di Mark Zukerberg nel 2014, cogliendo le potenzialità della quantità di dati disponibili su WhatsApp, acquistò la piattaforma, dichiarando di fronte alla Commissione europea (preoccupata per le notevoli dimensioni assunte nel campo del trattamento dei dati dalla società americana) di non voler (e poter) mettere in collegamento i profili della famosa app di colore verde con gli account di Facebook, tranne poi realmente metterli in comunicazione due anni dopo e sfruttare tutte le potenzialità della sinergia digitale (con tanto di multa da 110 milioni di euro, bruscolini rispetto al prezzo di acquisto, pari a 19 miliardi).

Anche il Garante privacy italiano è sceso sul piede di guerra, giudicando le nuove regole poco chiare. Per questo motivo l’Autorità ha portato la questione all’attenzione dell’Edpb, il Board che riunisce le Autorità privacy europee, ritenendo che dai termini di servizio e dalla nuova informativa non sia possibile, per gli utenti, evincere quali siano le modifiche introdotte, né comprendere chiaramente quali trattamenti di dati saranno in concreto effettuati dal servizio di messaggistica dopo l’8 febbraio.

Ma il caso WhatsApp rappresenta solo l’ultima, in ordine cronologico, delle criticità emerse nel mondo dell’innovazione. Oggetti e piattaforme web che conoscono tutto di noi, dall’orario della sveglia ai luoghi dove trascorriamo le nostre vacanze, insieme alle strade che percorriamo, ai ristoranti, alberghi e musei che frequentiamo.

Le nuove multinazionali digitali padroneggiano il nostro stato di salute, le tendenze sessuali, le nostre credenze religiose, insieme alle opinioni politiche e ai più intimi desideri di ciascuno. Dietro una sembianza filantropica ci aiutano a districarci sul web fornendoci servizi e prestandoci tutto il supporto necessario per vivere al meglio la nostra quotidianità, ormai aggrovigliata sempre più nella tecnologia. Ma nulla è gratis e tutto ha un prezzo.

Il recente caso che ha visto coinvolta WhatsApp in relazione alla privacy dei suoi utenti ci deve far pensare quanto ormai sia prioritaria la tutela dei nostri dati” ha dichiarato l’Avv. Francesca Bassa, esperta in tutela dei dati personali intervistata per l’occasione da LabParlamento. “Il Garante, a tal proposito, si è espresso in modo molto chiaro nei confronti della popolare applicazione: il messaggio con il quale sono stati avvertiti gli utenti e l’informativa sono risultate opache e poco trasparenti. Significativo è, infatti, che WhatsApp abbia deciso di sospendere l’aggiornamento e di fare chiarezza.

Ma la domanda di fondo che ogni utente dovrebbe porsi, nel chiuso della propria stanza, e se riuscirebbe a vivere, oggi, senza questa chat. Meglio “ostaggio” delle big companies di Internet, dunque, che impossibilitati a condividere l’ultimo meme di Osho?

Tags: francesco bassagarante privacyPrivacysocialwathsappzukerberg
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Alessandro Alongi

Alessandro Alongi collabora nell’ambito del modulo di “Diritto della rete” all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, è specializzato in Relazioni istituzionali e Diritto parlamentare e attualmente si occupa di tematiche giuridiche e regolamentari presso l’Organo di vigilanza sulla parità di accesso alla rete di TIM, oltre a svolgere attività di ricerca nell’ambito del Diritto dell’innovazione, del quale è autore di diversi studi e approfondimenti.

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