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Home Esteri

Il dilemma afgano: chiudere Internet o controllarlo?

Alessandro Alongi di Alessandro Alongi
10 Settembre 2021 07:21
in Esteri, Mondo, Tech
Tempo di lettura: 3 minuti
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Il dilemma afgano: chiudere Internet o controllarlo?
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Continua – a colpi di tecnologia – il redde rationem dei talebani nei confronti di gran parte degli abitanti del neo-emirato islamico dell’Afghanistan, accusati di aver in passato sposato idee troppo filo-occidentali. Dopo aver usato (impropriamente) i dispositivi di riconoscimento facciale lasciati sul campo dall’esercito americano per “stanare” i collaborazionisti, sembra che l’asticella si stia spostando sempre più in alto, e più di un osservatore paventa profilarsi un ulteriore rischio alla libertà, ovvero il controllo di Internet.

L’allarme, nei giorni scorsi, è stato lanciato dall’ex presidente dell’autorità per le telecomunicazioni afgane Mohammad Najeeb Azizi, che non ha esitato a sottolineare come «Internet è minacciato». Il fondato sospetto, analogamente al passato infatti, è proprio quello dello “spegnimento” della Rete o una forte restrizione all’utilizzo della stessa.

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Infatti già in precedenza, quando i talebani governarono per l’ultima volta l’Afghanistan, tra il 1996 e il 2001, il Paese rimase volutamente isolato dal resto del globo, avendo il governo di allora bandito ogni modernità, come la musica, il ruolo delle donne e – appunto – Internet.

Dopo 20 anni il nastro si riavvolge. Dopo due decenni di governo aperto del web, si profila un ritorno alle origini, con ogni forma di comunicazione bandita o fortemente controllata. Ma, a differenza del 2001, l’utilizzo e la strategicità di Internet è molto cambiato, e anche all’interno delle fazioni talebane si affaccia il dilemma se aderire ai precetti teocratici, e quindi abolire ogni forma di comunicazione ipermoderna o, al contrario, rinnegare parte di se stessi introdurre la Rete nella quotidianità del nuovo emirato. 

Benché il tasso di penetrazione e di infrastrutturazione del Paese sia relativamente basso, la presenza online dell’Afghanistan risulta fondamentale anche per il nuovo regime. La pervasività dei social, in particolare, è utilizzata dai ribelli come mezzo di propaganda, che sulle piattaforme social rilanciano i loro proclami e le loro conquiste. Pur di vincere la guerra contro l’odiato nemico a stelle e strisce si è disposti a tutto

Che fare, dunque, con la Rete?

Una delle possibili soluzioni potrebbe essere quella di un accesso a Internet altamente limitato e controllato, mentre allo stesso tempo i talebani potrebbero utilizzarlo liberamente per i loro scopi di propaganda. In effetti, il nuovo governo integralista ha tutto l’interesse a rimanere presente sulle piattaforme social, così da legittimare il proprio ruolo. Ma il convitato di pietra, ovvero lo zio Sam, non rimarrà a guardare, dovendo affrontare lo stesso dilemma afgano.

La concentrazione di Internet nelle mani di un piccolo numero di fornitori di servizi (Facebook, Twitter ecc..), la maggior parte dei quali ha sede proprio negli Stati Uniti, significa che tutto quello che serve, dai server, ai cloud, passando per i social media, potrebbe “spegnersi” su comando di John Biden, magari sotto forma di sanzioni.

Tutto ciò significa che alcune delle decisioni più importanti, e che potrebbero plasmare il futuro dell’Afghanistan, non saranno prese da governi internazionali o organizzazioni sovra-governative, ma da soggetti privati del calibro di Google o Facebook. Il dibattito se la cosa sia giusta o sbagliata è appena partito, ma di sicuro se si spegnessero le piattaforme social potrebbe finire anche l’influenza del governo afgano sulla popolazione.

Intanto, per i talebani, una guerra val bene un Tweet.

Tags: internetSocial network
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Alessandro Alongi

Alessandro Alongi collabora nell’ambito del modulo di “Diritto della rete” all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, è specializzato in Relazioni istituzionali e Diritto parlamentare e attualmente si occupa di tematiche giuridiche e regolamentari presso l’Organo di vigilanza sulla parità di accesso alla rete di TIM, oltre a svolgere attività di ricerca nell’ambito del Diritto dell’innovazione, del quale è autore di diversi studi e approfondimenti.

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