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Home Società

Sharing economy, un giro d’affari di 25 miliardi al 2025

Alessandro Alongi di Alessandro Alongi
29 Giugno 2017 08:31
in Società
Tempo di lettura: 2 minuti
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Sharing economy, un giro d’affari di 25 miliardi al 2025
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Continuano gli sforzi del Governo per regolare la new economy

di Alessandro Alongi

Non è forse un caso che la più alta sanzione per abuso di posizione dominante mai comminata dalla Commissione europea riguardi un gigante del Web. Ad appena 24 ore dalla multa monstre di quasi 2 miliardi e mezzo di euro nei confronti di Google, infatti, si riaccende il dibattito sugli urgenti correttivi legislativi da trovare per tenere testa al nuovo modello economico basato su Internet che, solo in Italia, oggi, conta un giro di affari di 3 miliardi e mezzo.

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Grazie all’innovazione tecnologica, infatti, esigenze vecchie (spostarsi in città, scegliere un hotel, trovare una baby sitter o un fidanzato) vengono risolte utilizzando strumenti nuovi, che basano la propria attività su innovativi modelli di business fondati su smartphone, social media e big data. Generando anche enormi profitti.

Secondo il recente rapporto Unicatt TraiLab, la sharing economy ha raggiunto cifre impressionanti: nel nostro Paese sono attive più di 200 piattaforme innovative, con un balzo del 50% rispetto a soli tre anni fa, e con una prospettiva di crescita finanziaria che potrebbe raggiungere i 25 miliardi nel 2025. Con buona pace dei diritti dei lavoratori, rispetto degli obblighi fiscali e dei principi di sana e leale concorrenza. Troppo per rimanere ancora inerti. E infatti i governi non stanno più (solo) a guardare.

L’innovazione, si sa, corre più velocemente della politica, cosa che facilita le migliaia di realtà tecnologiche nate negli ultimi anni, favorite dal cono d’ombra legislativo all’interno del quale però, adesso, si è deciso di accendere almeno un primo barlume.

Ha iniziato il Parlamento europeo lo scorso 15 giugno, chiedendo a gran voce la precisazione di linee guida sulla sharing economy capaci di armonizzare le singole leggi nazionali. A Bruxelles, in verità, già lo scorso anno la Commissione aveva inaugurato un percorso volto alla definizione di un’agenda europea per l’economia collaborativa, finalizzata a promuovere e sviluppare la stessa in modo responsabile rendendo, tra l’altro, più netta la distinzione tra consumatore e prestatore di servizi, categorie oggi abbastanza confuse.

Ha proseguito poi il Governo Gentiloni, inserendo nel DL 50/2017 (c.d. “Manovrina”) la prima tassa sugli affitti brevi conclusi su Internet (la famigerata tassa “Airbnb”), che per la prima volta ha visto un sito internet trasformarsi nel braccio fiscale dell’erario.

Sta continuando il Parlamento, che ha già approvato in prima lettura a Montecitorio la disciplina dell’ “home restaurant”, dando così la possibilità a tutti (a determinate condizioni) di trasformare la propria casa in un ristorante aperto al pubblico.

Il dibattito è ricco e in continua evoluzione. Ne sa qualcosa la giovane deputata del Partito Democratico Veronica Tentori che, lo scorso gennaio, ha presentato un disegno di legge, noto negli ambienti come “Sharing economy Act”, contenente misure volte a coniugare la flessibilità imprenditoriale tipica di questo ambito con un contesto di regole chiare per garantire equità fiscale e tutela dei consumatori.

La partita, dunque, è appena all’inizio, ma tutti sembrano guardare l’arbitro più che i giocatori, consapevoli del fatto che un cartellino giallo sventolato in un momento qualsiasi della gara potrebbe pregiudicare inevitabilmente il percorso di innovazione del Paese, sfida che l’Italia, purtroppo, stenta ancora a vincere.

Tags: Sharing economy
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Alessandro Alongi

Alessandro Alongi collabora nell’ambito del modulo di “Diritto della rete” all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, è specializzato in Relazioni istituzionali e Diritto parlamentare e attualmente si occupa di tematiche giuridiche e regolamentari presso l’Organo di vigilanza sulla parità di accesso alla rete di TIM, oltre a svolgere attività di ricerca nell’ambito del Diritto dell’innovazione, del quale è autore di diversi studi e approfondimenti.

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