Non finisce di destare perplessità e polemiche l’introduzione del Green pass, la certificazione che ormai è diventata indispensabile per accedere a bar, ristoranti e luoghi di intrattenimento, ma anche documento fondamentale per tutti gli insegnanti, studenti universitari e viaggiatori di mezzi pubblici a lunga percorrenza dal prossimo 1° settembre.
Se, da un lato, il possesso del famigerato QR rappresenta il lasciapassare utile a ritrovare una parvenza di normalità, dall’altra si diffondono timori per la sicurezza delle informazioni personali e i dati vaccinali dei cittadini, accanto alle polemiche di tutti coloro i quali sono chiamati a controllare la veridicità di quanto mostrato sullo schermo dello smartphone, che si rifiutano di rivestire gli impropri panni dei poliziotti della domenica.
In relazione proprio a quest’ultimo punto, la Circolare del Viminale del 10 agosto scorso ha chiarito la vexata questiodella richiesta, da parte di baristi, ristoratori e personale addetto agli ingressi, dei documenti identificativi al possessore della certificazione verde. Trattandosi di un’attività che consiste nella richiesta di esibizione di un documento d’identità, la verifica del passaporto vaccinale andrà svolta in primo luogo dai pubblici ufficiali, notoriamente muniti del potere di identificazione delle persone per fini di controllo stabiliti a vario titolo dalla legge e, solo in presenza di palesi incongruenze, “la verifica si renderà necessaria nei casi di abuso o elusione delle norme, come, ad esempio, quando appaia manifesta l’incongruenza con i dati anagrafici contenuti nella certificazione”. Via libera, dunque, all’occhio clinico dell’oste che, in caso di dubbi sull’effettiva identità del cliente, potrà indossare berretto e paletta e procedere alla verifica.
Ma, come dato conto proprio da LabParlamento qualche settimana fa, sul web esiste un fiorente commercio di Green pass fasulli, e dietro pochi euro, chiunque può acquistare una certificazione per accedere a qualsiasi luogo anche se non vaccinato.
Il tema è sempre quello relativo alla protezione dei dati personali tramite nuovi sistemi di comunicazione, specie nell’era della condivisione. Sempre più utenti, infatti, condividono le più disparate informazioni personali sul web, senza preoccuparsi che queste possano essere utilizzate in modo malevolo, per rubare l’identità o truffare lo stesso egolatra malcapitato.
Già da qualche tempo il garante privacy ha lanciato l’allarme sulla diffusione a scopo goliardico del proprio Green pass sui social. Pare Infatti sia costume farsi fotografare sorridenti accanto al proprio passaporto vaccinale in bella evidenza, mostrando così a tutti il proprio QR Code. Non bisogna essere esperti informatici per carpire, ritagliare e utilizzare l’immagine del Green pass scaricato dal web e salvarlo sul telefono, spacciando quel QR code come il proprio, accedendo così a tutti i luoghi di intrattenimento senza essere vaccinati. “Esibire la soddisfazione di avere il Green pass è davvero una pessima idea. Se proprio non sappiamo farne a meno, limitiamoci a condividere con il mondo la notizia, senza l’immagine dell’agognato QR-Code. Quel QR è una miniera di dati personali invisibili a occhio nudo ma leggibili da chiunque avesse voglia di farsi i fatti nostri”, spiega Guido Scorza, avvocato e componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali: “Ad esempio per desumere che la persona ha patologie incompatibili con la vaccinazione o è contraria al vaccino. E di qui negare impieghi stagionali, tenere lontani da un certo luogo, insomma per varie forme di discriminazione. O anche per fare truffe mirate o per fare profilazione commerciale. Immaginiamo la possibilità che questi dati finiscano in un database venduto e vendibile”.
Sulla questione non sono d’esempio nemmeno le istituzioni. A far discutere in questi giorni, infatti, è stata la pubblicità della Regione Toscana, che qualche giorno fa proprio sui social media, ha rilanciato l’appello alla vaccinazione, postando come foto proprio quella di un green pass messo in primo piano sotto un post.
Acquistato legittimamente su un catalogo di fotografie online, quel Green pass era davvero autentico, nello specifico di una persona di sesso maschile nato nel 1980 (pare fosse proprio del fotografo), cosa che ha indotto il possibile download dell’immagine per un probabile futuro utilizzo, perlomeno da parte di tutti gli uomini più o meno quarantenni: infatti, recandosi presso qualsiasi esercizio commerciale – e non sembrando palesemente contraffatto e quindi esente dalla richiesta di esibizione del documento di identità – un uomo corrispondente a quei dati anagrafici riportati sulla certificazione verde “offerta” gratuitamente dalla Regione Toscana potrebbe entrare tranquillamente in un luogo pubblico anche senza essere vaccinato.
L’immagine, non più online e che LabParlamento ha deciso di non pubblicare per senso di responsabilità, è sintomo di quanto sia delicato il crinale tra protezione dei dati personali, autocelebrazione della propria immagine sul web, e necessità di tutela della salute pubblica.