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Home Esteri

“Ok Google”: come mettersi in casa una spia virtuale

Alessandro Alongi di Alessandro Alongi
16 Luglio 2021 07:34
in Esteri, Società
Tempo di lettura: 3 minuti
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“Ok Google”: come mettersi in casa una spia virtuale
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Una prima crepa nel mondo della privacy legata agli assistenti virtuali domestici (e ipertecnologici) arriva dall’India e, più precisamente, da un’inchiesta del quotidiano India Today: secondo quanto riportato dalle colonne del giornale, i rappresentanti di Google lo scorso 29 giugno hanno dichiarato di fronte al Comitato parlamentare permanente sulla tecnologia dell’informazione che i dipendenti di Google ascoltano alcune registrazioni delle conversazioni tra gli utenti e il loro Google Assistant. 

Sebbene sia abbastanza noto – scrive India Today – che i dipendenti di Google ascoltano una parte delle conversazioni che gli utenti hanno con il loro apparecchio casalingo dopo aver invocato la parola chiave “OK Google”, questa è la prima volta che la società fondata da Larry Page riconosce un’attività di ascolto anche al di fuori dell’attivazione volontaria dell’apparecchio. 

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In un post sul proprio blog pubblicato nel 2019, infatti, Google aveva dichiarato che circa lo 0,2% di tutte le conversazioni che avvengo ad apparecchio attivo tra le mura domestiche vengono registrate dal gigante di Mountain View e ascoltate, anche se Big G si è subito affrettato a precisare che “Google applica un’ampia gamma di salvaguardie per proteggere la privacy degli utenti durante l’intero processo di revisione”. Secondo quanto dichiarato dal celebre motore di ricerca, infatti, le registrazioni delle conversazioni che avvengono nel focolare domestico non sono associate agli account degli utenti, e come parte del processo di ascolto è vietato agli addetti di trascrivere rumori di fondo o altri passaggi che non riguardino direttamente parti verbali dirette a Google.

Adesso, di fronte al parlamento indiano, la doccia fredda: il team di Google ha affermato che, seppur escludendo l’ascolto di tutte le informazioni sensibili, vengono saltuariamente registrate e trascritte anche alcune conversazioni generali – ad apparecchio non attivo – sebbene nessuno innanzi all’emiciclo di Nuova Delhi abbia fornito alcun chiarimento su come sia possibile discernere (e conseguentemente zittire i microfoni) tra quelle conversazioni captate contenenti informazioni personali e quelle invece contenenti informazioni non sensibili.

Un deputato, dopo aver acquisito le dichiarazioni, ha saputo finalmente dare un perché a quello che probabilmente gli utenti di tutto il mondo a volte si chiedono: “L’ammissione da parte di Google spiega perché centinaia di migliaia di utenti subito dopo aver chiesto all’assistente di Google informazioni sugli hotel in una città, iniziano a ricevere messaggi sui loro account su diverse di alberghi e viaggi“.

Le cose non vanno diversamente in Europa dove, a seguito dell’avvio di un procedimento dell’autorità privacy tedesca nell’estate del 2019, Google ha sospeso l’ascolto e la trascrizione delle registrazioni vocali raccolte dal suo assistente virtuale: “L’uso di sistemi di assistenza vocale nell’UE deve essere conforme ai requisiti di protezione dei dati del GDPR. Nel caso dell’Assistente Google, attualmente sussistono notevoli dubbi al riguardo. L’uso di sistemi di assistenza vocale deve essere trasparente affinché il consenso informato può essere ottenuto dagli utenti“, ha affermato l’autorità per la protezione dei dati teutonica due anni or sono, sottolineando i problemi di sicurezza per tutte le persone che entrano in contatto con gli assistenti virtuali di Google e di altre società tecnologiche. 

Probabilmente, sul montare delle proteste, la frase di attivazione di questi device potrebbe essere modificata in: “OK Google. Solo se non mi spii”.

Tags: Google
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Alessandro Alongi

Alessandro Alongi collabora nell’ambito del modulo di “Diritto della rete” all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, è specializzato in Relazioni istituzionali e Diritto parlamentare e attualmente si occupa di tematiche giuridiche e regolamentari presso l’Organo di vigilanza sulla parità di accesso alla rete di TIM, oltre a svolgere attività di ricerca nell’ambito del Diritto dell’innovazione, del quale è autore di diversi studi e approfondimenti.

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