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Home Approfondimenti

L’astuzia dei furbetti e le norme anti-bamboccioni alla prova del Reddito di cittadinanza

Alessandro Alongi di Alessandro Alongi
21 Gennaio 2019 20:20
in Approfondimenti, Economia, Reddito di cittadinanza e flat tax - Il dossier speciale, Società
Tempo di lettura: 4 minuti
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L’astuzia dei furbetti e le norme anti-bamboccioni alla prova del Reddito di cittadinanza
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Diverse le tagliole ipotizzate contro i «furbetti» del reddito di cittadinanza: finti divorzi, bamboccioni e licenziamenti ad hoc avranno vita dura, ma non sempre lo Stato riuscirà a scovare la preda

di Alessandro Alongi

Oltre ai santi, poeti e navigatori, gli italiani sono famosi anche per ingegno, e non solo in campo artistico e letterario: espedienti, scappatoie e furberie, sono tristemente all’ordine del giorno, specie quando il genio italico viene stuzzicato a confrontarsi con leggi, regolamenti e atti della pubblica amministrazione.

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Tale caratteristica antropologica non poteva di certo sfuggire ai tecnici del Ministero del lavoro, incaricati di stilare le regole del reddito di cittadinanza, provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri il 17 gennaio. Da qui l’inserimento nel testo finale del decreto di alcune norme “anti-furbetti”, in grado di limitare la creatività di chi, pur non avendone diritto, vorrà comunque beneficiare del sussidio. Ma, come la vulgata insegna, fatta la legge, qualche inganno potrebbe essere comunque tirato fuori dal cilindro:

Niente reddito a chi si dimette

Una delle previsioni introdotte nel decreto è quella di impedire il comportamento fraudolento di chi, anziché continuare a lavorare, si dimetta volontariamente dall’impiego per mettersi in panciolle e godersi la provvidenza pubblica: è stato previsto esplicitamente che chi si dimette spontaneamente dal proprio posto di impiego non potrà richiedere il sussidio per i successivi 12 mesi, tranne se l’allontanamento volontario dal lavoro sia “per giusta causa” (stipendi non pagati, contributi non versati ecc..). Il rischio prospettato dai tecnici del Ministero è quello che il Rdc si trasformi in un incentivo al lavoro nero, potendo il soggetto continuare la sua professione in maniera sommersa e gravare contemporaneamente sulle casse pubbliche.

Norme speciali per colpire i finti divorziati

Non vi amate più ma vivete sotto lo stesso tetto? Per lo Stato sarete ancora considerati “coniugi” e dunque, marito e moglie – anche se volano i piatti – saranno considerati appartenenti allo stesso nucleo familiare, con conseguente innalzamento dell’ISEE. Tale norma sarebbe stata inserita appositamente per impedire il fenomeno delle c.d. “separazioni di comodo”, separazioni o divorzi esistenti solo sulla carta, escamotage messo in pratica con l’unico scopo di separare i patrimoni e limitare il valore ISEE, ottenendo così più facilmente il Rdc. Sul totale delle separazioni, ogni anni si calcola che il 7% di esse siano fasulle, qualcosa come circa 7 mila tra separazioni e divorzi ogni anno che non hanno altro scopo se non quello di frodare il fisco. Peccato che nessuna norma imponga al giudice di verificare se la separazione consensuale sia vera o falsa, ma d’altra parte come farebbe un magistrato ad indagare la fine di un amore? Anche per questo si ipotizza che la norma, benché volenterosa, sarà di difficile applicazione. Basterà il deterrente della reclusione fino a 6 anni per chi imbroglia?

Inutile svuotare il conto corrente per occultare le ricchezze

Il governo controllerà il saldo del conto corrente e i patrimoni familiari dell’anno precedente,  quindi inutile correre agli sportelli e ritirare il denaro per infilarlo sotto il materasso: secondo il decreto il Rdc non verrà erogato a chi avrà più di  10 mila euro sul conto corrente, con riferimento all’anno precedente all’introduzione della misura. Però magari si potranno raggranellare i risparmi oggi in vista delle domande da presentare nel 2021. Sempre che la misura ci sia ancora.

Sei un bamboccione? Addio al sussidio

Disco rosso alla prole furbetta: per impedire che i figli si rendano indipendenti (ma solo sulla carta) dai nuclei familiari all’unico scopo di  beneficiare del sussidio, magari spostando la residenza nella città dove studiano, trova spazio una specifica norma che prevede che un figlio maggiorenne è considerato comunque a carico dei genitori se ha meno di 26 anni (senza reddito), non è coniugato e non ha figli. Si dubita che tale previsioni incentiverà le nascite, ma di sicuro servirà a dare un giro di vite sui finti stati di famiglia anche se, si sa, i figli so’ pezzi ‘e core.

Prima ti licenzio e poi ti riassumo (in nero e a gratis, paga Di Maio)

Dove le previsioni normative non possono far nulla è su un aspetto molto delicato, sottolineato tra gli altri dal Centro studi di Unimpresa: l’introduzione del Rdc potrebbe sortire l’effetto contrario per cui è nato, ovvero far esplodere disoccupazione e il lavoro nero. Com’è possibile? L’effetto perverso potrebbe basarsi sull’accordo tra impresa e lavoratore, dove la prima licenzia il secondo, così da mettere nelle condizioni l’ex impiegato di percepire il Rdc insieme alla Naspi, il sussidio di disoccupazione (pienamente compatibile). Il nuovo salario (pubblico), a questo punto, sarà anche più alto di quello originariamente corrisposto dall’azienda. Ma non è finita: il lavoratore rientrerebbe in azienda lavorando in nero, beneficiando però di uno “stipendio” vero e proprio pagato dallo Stato, mentre l’impresa beneficerà del lavoratore gratuitamente, non dovendo corrispondere non solo la paga, ma neanche versare le tasse previste all’erario (che oscillano tra il 30% e il 60% della paga del dipendente). Dallo studio emerge che lavoratori part time e con stipendio inferiore a 1.000€ potrebbero avvantaggiarsi di questo sistema.

E chissà quanti cittadini, incassando l’assegno mensile frutto di furberia, ricorderanno le parole di Charles Péguy: «O la rivoluzione sarà morale, o non sarà». Magari potrebbero essere scritte, su marmo, all’ingresso dei Centri per l’impiego.

 

Tags: furbettiReddito di cittadinanza
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Alessandro Alongi collabora nell’ambito del modulo di “Diritto della rete” all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, è specializzato in Relazioni istituzionali e Diritto parlamentare e attualmente si occupa di tematiche giuridiche e regolamentari presso l’Organo di vigilanza sulla parità di accesso alla rete di TIM, oltre a svolgere attività di ricerca nell’ambito del Diritto dell’innovazione, del quale è autore di diversi studi e approfondimenti.

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