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Home Società Tech

Dammi una foto e ti dirò chi sei. Il futuro per immagini inizia a fare paura

Alessandro Alongi di Alessandro Alongi
11 Febbraio 2020 17:48
in Tech
Tempo di lettura: 2 minuti
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La “faccia tosta” di Google fa passare in secondo piano il valore della privacy
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La nuova frontiera della privacy si chiama Clearview, l’applicazione capace di risalire all’identità di una persona a partire da una semplice porzione di immagine, grazie ad un data base di oltre tre miliardi di foto. Praticamente il mondo intero

di Alessandro Alongi

Sta facendo discutere la notizia, rivelata dal New York Times, di una super applicazione web in dotazione alla polizia statunitense capace di risalire – a partire da un semplice frammento di immagine o video – all’identità di una persona. Grazie al suo uso l’FBI e diverse polizie locali avrebbero raggiunto importanti risultati nella lotta alla criminalità, riuscendo ad individuare loschi personaggi che, in difetto di tale tecnologia, l’avrebbero fatta franca.

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L’indiscrezione ha destato, però, vive preoccupazioni, dando il via all’annoso dilemma, ovvero se tra la tutela alla riservatezza dell’identità (anche digitale) della persona e l’esigenza di contrastare efficacemente il crimine, il primo elemento sia preponderante sul secondo o viceversa.

La tecnologia utilizzata da Clearview – questo il nome dell’applicazione – è semplice quanto diabolica: basta caricare una foto o alcuni secondi di un video e, a partire anche da una piccola porzione di viso, la piattaforma è capace di ricercare in rete l’identità del soggetto, pescando tra i profili social o le notizie (corredate di foto) nascosti nei meandri del web.

Grazie a tale sistema, la polizia della Florida è riuscita a rintracciare il sospettato di una rapina ad un negozio, proprio a partire da un’immagine catturata dalle telecamere di sicurezza poste all’ingresso della bottega. L’app è riuscita a risalire al profilo Facebook del malcapitato, incastrandolo in pochi secondi. Sempre grazie a Clearview il Dipartimento di sicurezza è risalita ad una persona sospettata di aver abusato sessualmente di un bambino, semplicemente perché il suo viso, riflesso su uno specchio di una palestra, compariva in una foto pubblicata sui social da un frequentatore del medesimo centro fitness. Sempre grazie alle immagini contenute nel database dell’app, è stato possibile identificare prontamente una persona trovata morta su un marciapiede dell’Alabama.

Accanto a tali nobili usi, le principali preoccupazioni sono legate soprattutto alla facilità con la quale – in un futuro non tanto remoto – sarà possibile scovare le identità di tutti, semplicemente scattando una foto per strada e dandola in pasto all’applicazione. In pratica, sarà come camminare con un cartello attaccato al collo contenente tutti le nostre informazioni personali. Chiunque non abbia posto restrizioni alla privacy su Facebook, Twitter o Instagram sappia che, con molta probabilità, la sua identità è già a disposizione di Clearview.

Non ha importanza che una persona indossi un cappello o degli occhiali, oppure essere di profilo o con il viso nascosto, nulla sfugge a Clearview anche se, come si è affrettato a precisare il suo ideatore, l’ex modello australiano (ma appassionato di tecnologia) Hoan Ton-That, a volte il software «segnala possibili comportamenti anomali nella ricerca», ovvero commette errori, dichiarazione poco rassicurante quanto di mezzo c’è la libertà degli individui.

Tags: ClearviewinternetPrivacyRiconoscimento facciale
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Alessandro Alongi

Alessandro Alongi collabora nell’ambito del modulo di “Diritto della rete” all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, è specializzato in Relazioni istituzionali e Diritto parlamentare e attualmente si occupa di tematiche giuridiche e regolamentari presso l’Organo di vigilanza sulla parità di accesso alla rete di TIM, oltre a svolgere attività di ricerca nell’ambito del Diritto dell’innovazione, del quale è autore di diversi studi e approfondimenti.

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