Poca o nessuna attenzione da parte dei partiti per le sfide che attendono l’Italia, spazio a promesse e dibattiti autoreferenziali. Alcuni temi del dibattito che sono stati dimenticati
Il clima di polemica permanente che ha segnato la dialettica politica per tutto il 2017 non lasciava spazio all’ottimismo, ma quanto accaduto nelle ultime settimane ha purtroppo confermato le attese: la campagna elettorale in vista del 4 marzo non ha affrontato, se non di sfuggita o in programmi letti principalmente dagli addetti ai lavori, le principali sfide che l’Italia dovrà affrontare nel breve e nel medio periodo.
Solo per citare alcuni dei temi sul tavolo, poco o nulla è stato detto dai candidati alla guida del Paese sulle tendenze demografiche che vedono una popolazione italiana avviata sulla strada dell’invecchiamento (come riportato da Federico Fubini nel suo libro La maestra e la camorrista, di questo passo nel 2035 la percentuale di cittadini di almeno 65 anni sarà di quasi il 30%), così come gli accenni dedicati all’occupazione e alla qualità del lavoro si devono all’esplosione del caso Embraco, mentre il tasso di disoccupazione generale rimane in doppia cifra e la precarietà abbinata a tutele limitate continua a essere la condizione di migliaia e migliaia di giovani.
Allo stesso modo, è pressoché scomparsa dai radar del dibattito la lotta ai cambiamenti climatici, e lo stesso si può dire dell’Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile, della rivoluzione dell’economia circolare e dell’esigenza di limitare il consumo di suolo (in questo caso, l’unico spunto è venuto dai riferimenti al condono edilizio). Calma piatta dalle forze politiche anche sul fronte delle innovazioni tecnologiche che, se non gestite, da qui ai prossimi anni ci investiranno all’insegna del machine learning e dei big data, per non parlare della questione del debito pubblico, vera e propria “spada di Damocle” per le generazioni presenti e future ma elusa dalle roboanti promesse economiche di alcuni tra i contendenti alle elezioni.
Se la prima fase della campagna per le Politiche era stata dominata dalla declinazione in più varianti dello slogan “meno tasse per tutti” e da discussioni semplicistiche sull’immigrazione (alimentate dal delitto e dalla sparatoria verificatisi a Macerata), nella dirittura finale le forze politiche sono passate alla segnalazione degli “impresentabili” nelle liste altrui, agli abituali richiami al voto utile e, soprattutto, a dispute su candidati premier e scenari post elettorali, che seppur dovute alla legge elettorale rappresentano un’invasione delle competenze del Presidente della Repubblica. Per completezza d’analisi, va riconosciuto che a questi cambiamenti nell’agenda setting hanno contribuito attivamente i media, concedendo grande spazio a vicende giudiziarie o non strettamente politiche (problemi coniugali dei candidati compresi).
Sembra difficile che a ridosso del voto possa cambiare qualcosa, ma se i partiti non ripenseranno neanche in extremis le loro strategie sarà in discussione qualcosa di più importante della maggioranza nelle Camere: la funzione della partecipazione elettorale, definita come un dovere dalla Costituzione. La percentuale di affluenza alle urne è uno degli indicatori dello stato di salute di una democrazia, nonché della fiducia che i cittadini ripongono nella politica. Già nel 2013 si è registrata la minor assistenza al voto della storia repubblicana con il 75% di aventi diritto recatisi ai seggi; continuando a parlare di se stesse e non del futuro dell’Italia, le forze politiche faranno sì che il 4 marzo quel record negativo venga ulteriormente abbattuto.