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Tutela degli asset nazionali tra “Golden power” e “anti-scorrerie”

Alessandro Alongi di Alessandro Alongi
13 Aprile 2017 15:04
in Commenti, Parlamento
Tempo di lettura: 3 minuti
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Tutela degli asset nazionali tra “Golden power” e “anti-scorrerie”

Photo credits: LaPresse

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L’attuale normativa, finora, non ha potuto evitare scalate straniere

di Alessandro Alongi

La tutela efficace degli asset nazionali è uno dei punti di maggiore criticità del potere esecutivo, costretto ad operare un continuo bilanciamento di contrapposti interessi, libertà di impresa e circolazione dei capitali da una parte, e salvaguardia di specifici settori industriali di interesse nazionale dall’altra.

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In origine, cercando di fornire un’adeguata protezione al sistema industriale del Paese a seguito del processo di privatizzazione delle imprese pubbliche, lo Stato era titolato ad intervenire direttamente nell’economia per mezzo di un set di poteri speciali, contenuti nella c.d. «Golden share»[1], istituto grazie al quale il Governo era autorizzato ad opporsi all’acquisizione di partecipazioni rilevanti di qualsiasi tipo, anche intra-Ue, per mezzo di apposite previsioni inserite negli statuti delle principali società di diritto italiano. La cosa, però, suscitò i malumori di Bruxelles, che ne intravide una compromissione della libertà di stabilimento.

Per ovviare alle censure della Commissione europea[2], con il DL 15 marzo 2012, n. 21[3] (convertito, con modificazioni, con la Legge 11 maggio 2012, n. 56) il legislatore nazionale, anche mediante il rinvio ad atti di normazione secondaria, ha ridisegnato l’istituto in questione, adesso maggiormente in linea con il diritto comunitario.

Grazie a tale previsione, l’Esecutivo dispone adesso di un «Golden power», un potere di intervento attinente alla governance di società operanti in settori considerati strategici e finalizzato alla tutela degli interessi societari in relazione alle delibere, agli atti e alle operazioni che si riflettono sugli asset definiti di prioritaria importanza per il Paese.

In presenza di specifici requisiti di legge (individuati nel grave pregiudizio dell’operazione societaria per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti), il Governo può imporre specifiche condizioni all’acquisto di partecipazioni, da parte di soggetti esterni all’Unione europea, in società che detengono attivi «strategici» nei settori della difesa, sicurezza, energia, trasporti e comunicazioni, potendo anche porre il veto all’adozione di decisioni capaci di pregiudicare gli interessi pubblici.

Il bilancio dei primi anni di applicazione della misura, però, non è stato all’altezza delle aspettative, ragion per cui è in corso il dibattito alla Camera sulla reale efficacia di quest’arma che, a parere di molti, appare inadeguata. Sarà per questo che è allo studio una misura più incisiva e ribattezzata, eloquentemente, «anti scorreria», volta a garantire la trasparenza circa le intenzioni dell’investitore relativamente alle operazioni aventi ad oggetto l’acquisto di almeno il 10% del capitale di una società quotata.

Una cosa, però, è sicura: l’attuale assetto normativo esistente non ha potuto evitare scalate straniere rivolte, sovente, a sottrarre tecnologie e know-how industriale alle imprese italiane.

 

[1]Decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, recante norme per l’accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474: «Tra le società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato operanti nel settore della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle fonti di energia, e degli altri pubblici servizi, sono individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (…), quelle nei cui statuti, prima di ogni atto che determini la perdita del controllo, deve essere introdotta con deliberazione dell’assemblea straordinaria una clausola che attribuisca al Ministro dell’economia e delle finanze la titolarità di uno o più dei seguenti poteri speciali da esercitare di intesa con il Ministro delle attività produttive (…)».

[2]La disciplina della «golden share» è stata oggetto della procedura d’infrazione n. 2009/2255, in quanto lesiva della libertà di stabilimento e della libertà di circolazione dei capitali garantite dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Nell’ambito di tale procedura di infrazione, la Commissione europea, il 24 novembre 2012, ha adottato una decisione di deferimento alla Corte ex articolo 258 TFUE.

[3]Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, recante norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni (GU n.111 del 14-5-2012 ).

Tags: CameraCommissione EuropeaConcorrenzaGolden powerGolden shareInvestimenti stranieriLibertà di stabilimento
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Alessandro Alongi

Alessandro Alongi collabora nell’ambito del modulo di “Diritto della rete” all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, è specializzato in Relazioni istituzionali e Diritto parlamentare e attualmente si occupa di tematiche giuridiche e regolamentari presso l’Organo di vigilanza sulla parità di accesso alla rete di TIM, oltre a svolgere attività di ricerca nell’ambito del Diritto dell’innovazione, del quale è autore di diversi studi e approfondimenti.

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