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Home Economia

“Se la governance non cambia sarà la Ue a far trasformare il piano B in piano A”. L’intervista ad Antonio Rinaldi

Simone Santucci di Simone Santucci
07 Settembre 2018 15:45
in Economia, Europa, Interviste, Istruzione, Sanità
Tempo di lettura: 3 minuti
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“Se la governance non cambia sarà la Ue a far trasformare il piano B in piano A”. L’intervista ad Antonio Rinaldi
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A LabParlamento l’intervista al Professor Antonio Rinaldi, economista, allievo del ministro Paolo Savona e fondatore del blog Scenari Economici

di Simone Santucci

Antonio Rinaldi, allievo di Paolo Savona e docente presso l’Università Link Campus, è il fondatore del blog Scenari Economici, uno dei principali siti di riferimento del movimento eurocritico di numerosi esponenti della cultura, dell’accademia e della politica italiana. Ritenuto da molti come uno dei principali ideologi del sovranismo italiano, Rinaldi spiega a LabParlamento in cosa consistono le critiche all’attuale assetto comunitario.

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Professor Rinaldi lei è uno dei più accesi sostenitori di una linea critica verso l’euro e l’attuale assetto istituzionale europeo. Secondo lei come si può coniugare la permanenza italiana nell’euro con questo tipo di Europa?

Dalle spinte e dai risultati che provengono da tutta Europa la governance comunitaria deve cominciare a comprendere che delle criticità esistono, e i cittadini ne sono ormai consapevoli, Lo stesso Mario Draghi nell’audizione dello scorso 10 luglio ha ammesso che l’euro ha delle imperfezioni. Con la permanenza di questa architettura è quasi scontato che ci saranno sempre più movimenti euroscettici che, se cresceranno ancora, porteranno inevitabilmente al dissolvimento dell’Unione europea. Per questo è necessario cambiare alcune regole. La moneta unica è stata utilizzata come aggregatore mentre doveva essere il complemento finale, ad aggregazione già completata. Per questo questa aggregazione non è mai avvenuta. Non a caso oggi c’è un’area valutaria che presenta aree sempre più ricche e aree, invece, sempre più povere. Si creano così poche condizioni per una reale competitività e per una redistribuzione ottimale della “ricchezza europea”. Non solo. Che la Bce rimanga autonoma siamo tutti d’accordo, ma deve anche uniformarsi alle altre grandi banche centrali mondiali. Non bastano operazioni di sostegno come il quantitative easing – che ha anche funzionato – ma non è certo quello che ci si auspica dal ruolo di una vera banca centrale. Quando ci sono differenziali di tasso così elevati, insomma, è evidente che qualcosa anche a livello centrale non funzioni.

Carlo Cottarelli, proprio sul nostro giornale, ha dichiarato che “a forza di parlare di piano B c’è il rischio che diventi il piano A”. Lei che con Paolo Savona, al quale la unisce un lungo sodalizio, è uno dei sostenitori della necessità dell’avere un “Piano B” in caso di show-down, pensa che davvero sia pericoloso solo il parlarne?

Se ne è parlato con tutto l’arco costituzionale in occasione della presentazione del nostro “Piano B” nel 2015 alla Link Campus University. Le istituzioni invece devono averlo, ma non certo pubblicizzarlo. Quando il 15 agosto del 1971 ci fu la rottura di Bretton Woods (la fine della convertibilità dollaro oro) esistevano piani B per favorire il passaggio altrimenti il tutto sarebbe avvenuto in modo più traumatico. Avere delle alternative, e lo stallo Brexit lo dimostra, dal settore della difesa a quello della sanità serve eccome. Certo, se la governance europea si ostinerà a rimanere immobile sarà essa stessa a far sì che il piano B diventi il piano A.

Quale sarà il contributo che nel prossimo futuro Savona potrà offrire al Governo, rispetto anche alle sue idee in campo economico?

Savona ha seguito sin dall’inizio tutte le fasi che hanno portato alla fondazione dell’Ue e dell’euro. Non ha mai fatto mistero di essere fautore di un rafforzamento dell’Italia in Europa e di voler contribuire a migliorare ciò che fino ad adesso non ha funzionato. Ma serve anche che si arrivi ad adottare un sistema decisionale condiviso, che tenga conto di tutte le esigenze, non solo quelle dei player forti dell’Ue. I governi precedenti non hanno saputo rappresentare le istanze dei cittadini e delle piccole e medie imprese italiane. Savona è la personalità più autorevole per portare all’attenzione le istanze italiane nelle stanze di Bruxelles.

Cosa significa nel 2018 essere sovranisti? E secondo lei questo è un governo sovranista?

Nei fatti è un governo sovranista come sono sovranisti il governo francese o quello tedesco per i loro interessi. L’Italia in questi ultimi anni è stata trattata come uno scolaretto dietro la lavagna mentre gli interessi francesi e tedeschi erano invece privilegiati. Non siamo riusciti a fare quello che hanno fatto gli altri, in campo economico e come in quello migratorio. Per questo c’è l’esigenza di un cambio di passo anche nelle relazioni con le istituzioni comunitarie.

Che manovra si aspetta dal nuovo governo e quali sono i provvedimenti economici più urgenti?

Non sono membro del governo, né un collaboratore ma semplicemente un osservatore. Credo che si debba iniziare a rendere esecutivi i punti del contratto di governo come flat tax, reddito di cittadinanza e modifica della legge Fornero. Anche se quel programma è redatto in previsione di cinque anni di legislatura mi aspetto una forma iniziale di flat tax e reddito di cittadinanza, senza dimenticare però che nella manovra ci sarà già da discutere suelle clausole di salvaguardia che riguardano l’Iva, una eredità dei governi precedenti. Grazie ad una revisione della spesa pubblica intelligente – non certo la macelleria sociale che si è fatta in passato – e la realizzazione della pace fiscale credo che si potranno così reperire i 30 miliardi necessari a realizzare questi punti.

Tags: antonio rinaldiBceEuroEuropaMario DraghiPaolo Savonapiano bquantitative easingscenari economiciUe
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