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Home Economia

Reddito di cittadinanza, storia di una promessa mantenuta (in parte): lo studio di CheckPoint Promesse

Redazione LabParlamento di Redazione LabParlamento
25 Gennaio 2019 06:12
in Economia
Tempo di lettura: 7 minuti
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REI: goccia nel mare? No, bicchiere pieno per un quarto
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Dalla campagna elettorale al decreto legge meno fondi e più paletti per la misura-simbolo del Movimento 5 Stelle

di Check Point Promesse

Il significato del termine “reddito di cittadinanza” (RdC), nome con cui il movimento 5 stelle ha chiamato una delle sue principali proposte di legge fin dal 2103, ha poco a che vedere con il provvedimento approvato dal Governo Conte a inizio 2019. Per reddito di cittadinanza, o in inglese basic income, si intende generalmente il reddito di base che uno stato garantisce, su base individuale, a tutti i suoi cittadini, senza verifiche su altri redditi o patrimoni, e senza l’impegno di trovare un lavoro per i disoccupati. Sebbene la crisi economica del 2008, lo stato del mercato del lavoro e i timori di una sempre maggiore automazione delle professioni negli ultimi anni abbiano aperto un acceso dibattito sulla possibilità e sulla necessità di un reddito di base, e a parte i casi pilota come quello finlandese, nel mondo solo la ricca Alaska lo garantisce ai suoi abitanti. Una misura di questo tipo, estesa a tutti i cittadini, avrebbe un costo enorme. Per l’Italia Tito Boeri e Roberto Perotti, su Lavoce.info, hanno stimato che un reddito di cittadinanza di 500 euro al mese, dato a tutti i maggiorenni – 50 milioni di persone – possa costare 300 miliardi di euro, il 20% del Pil.

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Più diffuso, soprattutto in Europa e in varie forme, è invece il reddito minimo garantito. A questo gruppo si aggiungerà anche il reddito di cittadinanza promosso dai 5Stelle. Il reddito minimo è infatti cosa molto diversa dal reddito di base: si tratta di soldi che uno Stato elargisce solo ai cittadini al di sotto di un certo reddito per aiutarli a raggiungere una soglia minima di sicurezza economica e per facilitarli nella scelta di un lavoro dignitoso. Un aiuto di questo tipo può essere più o meno condizionato, ma chi lo riceve deve seguire delle regole per continuare a percepirlo, come impegnarsi a trovare un lavoro, iscriversi ai centri per l’impiego e accettare un’offerta congrua su un numero n di proposte, in un certo lasso di tempo. Il principio del reddito di cittadinanza appena approvato è proprio questo ed è paragonabile a un esteso sussidio di disoccupazione, limitato nel tempo e condizionato. Una cosa che non in molti ricordano è che una misura simile l’Italia già ce l’aveva, voluta dal governo Gentiloni. Era il Rei, il Reddito di inclusione. Il Rdc andrà a sostituirlo, aumentando la copertura e diventando l’unica misura di contrasto alla povertà nel nostro paese.

Ma il reddito di cittadinanza, bandiera storica del MoVimento 5Stelle, è sempre stato immaginato in questo modo? Non proprio. La proposta è stata una delle prime e di maggior impatto del MoVimento, un totem fondativo si potrebbe dire. L’idea del reddito di cittadinanza prende forma prima dell’entrata dei 5Stelle in parlamento e su Youtube si trovano alcuni video del 2013 in cui Beppe Grillo, impegnato in diverse campagne elettorali, parla di dare “1000 euro al mese ai giovani”, per tre anni, per aiutarli nella scelta di un lavoro non sfruttato, se non proprio a liberarli dall’assillo di trovare lavoro.

Il reddito di cittadinanza viene ovviamente incluso anche nei “20 punti per uscire dal buio”, che sono l’asse portante del programma elettorale con cui il MoVimento si presenta alle politiche del 2013. È sempre del 2013, con il M5S all’opposizione, la prima proposta di legge che ha per oggetto il RdC. Il Ddl è il 1148 del 23 ottobre 2013. Al secondo comma del primo articolo si legge che “Il reddito di cittadinanza è finalizzato a contrastare la povertà, la disuguaglianza e l’esclusione sociale, a garantire il diritto al lavoro, la libera scelta del lavoro, nonché a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione…”. Secondo questa proposta i beneficiari sarebbero stati cittadini italiani, europei o di paesi terzi con cui l’Italia avesse trattati bilaterali di sicurezza sociale, maggiorenni, disoccupati o inoccupati, e comunque con un reddito inferiore o uguale alla soglia di povertà, stimata in 9.360 euro annui; persone, cioè, che percepiscono meno di 780 euro mensili. La stessa soglia vale anche per i nuclei familiari. Il Rdc qui pensato prevedeva in sostanza un assegno di 780 euro o un’integrazione al reddito fino a quella cifra. Un’altra cosa che salta agli occhi è la durata del Rdc che, ipoteticamente, poteva essere illimitato nel tempo, fino a quando non fossero venute a mancare le condizioni per riceverlo. Ovvero fino allo sforamento del reddito minimo annuo.

Cinque anni dopo, nel Contratto di governo (pag.34), siglato dai 5Stelle e dalla Lega nel 2018 al momento della formazione dell’esecutivo, il reddito e le pensioni di cittadinanza sono illustrati in poco più di una pagina e in modo molto generale. Si fa riferimento ai 780 euro al mese come tetto massimo per persona, ma lo spirito è molto diverso e si chiarisce, nelle prime due righe, che la misura “è rivolta ai cittadini italiani al fine di reinserirli nella vita sociale e lavorativa del Paese”. I punti certi pochi: chi percepisce il Rdc dovrà accettare un lavoro dopo massimo tre proposte nell’arco di 2 anni, e verranno anche stanziati 2 miliardi per riformare i centri per l’impiego.

Per comparare la misura approvata a quella promessa è utile fare riferimento, oltre che alla proposta di legge del 2013, anche al più recente documento informativo postato sul Blog delle Stelle in vista dell’ultima campagna elettorale. Il documento si basava sulla proposta depositata nella scorsa legislatura e la illustrava in modo semplificato. Si stimava che il reddito sarebbe costato 16 miliardi e che lo avrebbero percepito 9 milioni di persone, come ripetuto poi più volte da Di Maio. Anche i requisiti per fare domanda rimanevano gli stessi del Ddl 1148, così come i benefici. Si faceva riferimento alla soglia delle tre proposte di lavoro, entro le quali bisognava accettare un’offerta, ma non si davano invece limiti temporali.

La misura approvata dal decreto legge nel consiglio dei ministri del 17 gennaio ha sicuramente maglie più strette e prevede una durata di massimo 18 mesi, rinnovabili se persistono le medesime condizioni. Il budget, già ridimensionato dai 16 miliardi ipotizzati a circa 10, è stato ulteriormente decurtato dopo il braccio di ferro tra il governo e l’Ue. Alla fine, nella legge di bilancio 2019 sono stati stanziati 6 miliardi per l’anno in corso, 7 e mezzo per il 2020 e quasi 8 per il 2021. La platea, per forza di cose, si è ridotta: ne beneficeranno tra i 4,5 e i 6 milioni di italiani, ovvero 1,4 milioni di nuclei familiari. In che modo funzionerà? Con vincoli più stretti per accedervi, una durata limitata e qualche taglio. Se da una parte la platea sembra allargarsi, visto che oltre a cittadini italiani ed europei vengono inclusi anche immigrati lungosoggiornanti (in Italia da almeno 10 anni), dall’altra una nuova clausola prevede per tutti l’obbligo di aver abitato in Italia in modo continuativo negli ultimi 2 anni. Inoltre, per essere beneficiari di Rdc nel 2019 non sarà sufficiente avere un ISEE annuo inferiore a 9.360 euro, come persona singola o nucleo familiare. Non bisognerà avere un patrimonio immobiliare, fatta salva la prima casa, superiore ai 30.000 euro e uno finanziario superiore ai 6.000 euro. Altre discriminanti saranno l’acquisto negli ultimi due anni di una moto di cilindrata superiore ai 250 cc e di un’auto superiore a 1600 cc nei 6 mesi prima della richiesta, intestate a un componente della famiglia. È specificato poi che “Il beneficio economico non può essere complessivamente superiore a 9.360 euro annui”. Questo beneficio si compone di due parti: di un assegno di massimo 500 euro al mese e di un contributo per l’affitto di 280 euro o di uno per il mutuo di 150. Rispetto alle tabelle allegate alla proposta 5Stelle del 2013 e al già citato documento salta poi agli occhi il taglio dei contributi alle famiglie numerose. Se prima una famiglia composta da due adulti a reddito zero e un figlio maggiorenne avrebbe potuto ricevere fino a 1560 euro mensili, con il Rdc approvato ne potranno ricevere solo 1180; così, per una famiglia composta da due adulti, un figlio maggiorenne e uno minorenne l’assegno sarà di 1280 euro a fronte dei 1794 immaginati nel 2013.

Per quanto riguarda la ricerca di lavoro, anche i criteri per l’accettazione delle proposte cambiano. Se 5 anni fa era definita congrua una proposta entro i 50 km dall’abitazione oggi lo è un’offerta di lavoro entro i 100 kilometri dalla residenza nei primi 6 mesi di erogazione del reddito, entro i 250 oltre il sesto mese, e in tutto il territorio nazionale se il Rdc viene rinnovato dopo 18 mesi. Giocoforza i tagli sono ricaduti anche sui fondi per i centri dell’impiego: un miliardo stanziato invece dei due promessi.

Per ora possiamo dire, aspettando di vedere se e quanto funzionerà il RdC, che il M5S ha ottenuto una discreta vittoria sul piano politico, riuscendo a far approvare la sua norma simbolo a meno di un anno dall’inizio della legislatura. Come si è visto, ci sono delle differenze tra il RdC approvato e quello proposto e promesso in precedenza, soprattutto per quanto riguarda le condizioni per accedervi e il contributo percepito. Nonostante questo, l’impianto della misura non è stato stravolto, e la promessa può considerarsi in parte mantenuta. Un’ultima cosa da sottolineare, ma non meno importante, riguarda il piano comunicativo. Il M5S, dai primi anni della sua nascita fino all’approvazione del decreto, è riuscito a mantenere l’esclusiva su una norma di questo tipo che, grazie alla riconoscibilità del nome, è diventato quasi un brand. Il partito di Grillo si è intestato il termine “reddito di cittadinanza” anche se, quasi da subito, quello che proponeva di fare non lo era per niente. Così come non lo è quello approvato.

Tags: differenze reddito cittadinazaReddito di cittadinanzarei
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