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Home Politica

I farmacisti possono vaccinare?

Fabrizio Giulimondi di Fabrizio Giulimondi
05 Giugno 2021 06:49
in Politica, Sanità
Tempo di lettura: 4 minuti
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Covid / In Italia il 54% delle infezioni dovute a “variante inglese”
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Nello sforzo del gen. Figliuolo di incrementare il più possibile il numero giornaliero di vaccinati in Italia, il 29 marzo 2021 è stato firmato dal Ministro della Salute, on. Roberto Speranza, l’Accordo quadro tra il Governo, le Regioni e le Province Autonome, Federfarma e Assofarm per la somministrazione da parte dei farmacisti dei vaccini anti Sars-CoV-2.

Questo Accordo è stato stipulato sulla base dell’art. 1, comma 471, legge 178/2020 (legge di bilancio 2021) che ha consentito, in via sperimentale per l’anno in corso, la somministrazione di vaccini nelle farmacie aperte al pubblico sotto la supervisione di medici assistiti, se necessario, da infermieri o da personale sanitario opportunamente formato. 

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Colpisce, e non poco, la grossolana violazione da parte dell’Accordo di questa norma che ne costituisce la sua base legale, non riscontrandosi alcuna traccia della previsione della presenza di un medico che svolga attività di supervisione sull’operato del farmacista vaccinante, né tantomeno dell’assistenza di infermieri e di altro personale sanitario opportunatamente formato.

Il carattere “sperimentale” della somministrazione del vaccino nelle farmacie, sia in sede legislativa che pattizia, può destare inevitabili preoccupazioni, visto che un vaccino, specie di nuova generazione, può, seppur raramente, determinare conseguenze anche gravi sulla salute del ricevente. Sperimentare un corpo professionale che non sia quello medico lascia sconcertati, anche perché i destinatari finali dell'”esperimento” sono persone (sane).

A maggior ragione se leggiamo l’art. 11, comma 1, lettera a), legge 69/2009, che prescrive la valorizzazione delle farmacie “a supporto delle attività del medico di medicina generale, anche   con   l’obiettivo  di  garantire il  corretto  utilizzo  dei medicinali prescritti e il relativo monitoraggio, al fine di favorire l’aderenza dei malati alle terapie mediche”: la somministrazione di un farmaco come un vaccino (per giunta di nuovo conio) non costituisce attività di supporto dell’attività del medico di medicina generale, bensì una sua autentica sostituzione.

Non scordiamoci, difatti, che l’“atto medico”, secondo l’Unione Europea dei Medici Specialisti (UEMS), “ricomprende tutte le attività professionali, ad esempio di carattere scientifico, di insegnamento, di formazione, educative, organizzative, cliniche e di tecnologia medica, svolte al fine di promuovere la salute, prevenire le malattie, effettuare diagnosi e prescrivere cure terapeutiche o riabilitative nei confronti di pazienti, individui, gruppi o comunità, nel quadro delle norme etiche e deontologiche. L’atto medico è una responsabilità del medico abilitato e deve essere eseguito dal medico o sotto la sua diretta supervisione e/o prescrizione“. 

L’atto medico, in quanto tale, può essere compiuto, quindi, soltanto da un medico, ossia da un soggetto che ha conseguito apposita laurea la quale, dopo il decreto-legge 18/2020, convertito nella legge 27/2020, è di per sé abilitante, non necessitando più il superamento dell’esame di stato per potersi iscrivere all’ordine dei medici. 

Di rimando, nella definizione di atto medico non solo è inclusa la somministrazione di un vaccino che, in quanto farmaco potenzialmente allergizzante, può abbisognare di interventi medici immediati anche “salva-vita”, ma pure l’attività anamnestica, ossia di elaborazione e valutazione dell’anamnesi del vaccinando, per verificarne l’idoneità o meno alla inoculazione del vaccino, azione, invero, demandata nell’Accordo al farmacista, senza alcun richiamo alla obbligatorietà della presenza o supervisione di un medico.

Negli ospedali, Hub e Asl ove si somministrano i vaccini anti Covid vi sono medici anestesisti pronti ad operare, anche con strumentazione meccanica, in caso di shock anafilattico (provvedendo, eventualmente, alla intubazione del soggetto); negli studi medici è lo stesso “camice bianco” (nel caso non si faccia affiancare da uno specialista del settore) ad operare in questo senso. E non sarà l’art. 45 d.lgs 81/2008 a salvare la situazione.

L’Accordo prevede la necessità di individuare fra i dipendenti della farmacia colui che, ai sensi del citato articolo, debba essere adeguatamente istruito e formato sul primo soccorso e l’assistenza medica di emergenza, in caso di malessere del vaccinato. Questa norma, in realtà, è di tipo generale e coinvolge tutte le strutture lavorative pubbliche e private, non esistendone una specifica per le farmacie, nonostante il compito affidato a queste ultime sia di particolare delicatezza per la salute delle persone che vi ricorrono per il vaccino: il profilo istituito dall’art. 45 d.lgs. 81/2008 non può certamente sopperire alla presenza di un medico, che possiede una peculiare formazione accademica e professionale.

Come mai è consentito, nelle tende e denso-strutture poste dinanzi alle farmacie, in ambiente protetto, l’effettuazione di tamponi ad opera solo di personale medico o, su sua diffusa delega, di quello infermieristico? Perché il “tampone” è un atto medico, al pari del vaccino che, anzi, non solo lo è ma con una “intensità” ancor maggiore. Parimenti, il vaccino antinfluenzale (classico) non viene certo iniettato da professionisti che non siano dottori.

Sui locali delle farmacie destinati ai vaccinandi – salvo le dovute eccezioni, ossia in quelle particolarmente spaziose – lasciamo alla esperienza che in molti quotidianamente vivono.

I farmacisti si stanno accollando una notevole responsabilità penale e civile e, temiamo, che se non diranno la propria la Politica e le Istituzioni governative e parlamentari, la parola passerà al TAR del Lazio e, via via, al profluvio di cause civile e penali, con lo strascico di dolore e sofferenza che le sentenze, purtroppo, non saneranno, se non in minima parte.

Tags: covidvaccini
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