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Home Economia

Covid / Solo la pace fiscale potrà far ripartire l’Italia

Redazione LabParlamento di Redazione LabParlamento
06 Marzo 2021 07:03
in Economia
Tempo di lettura: 5 minuti
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Roma, capitale delle serrande abbassate. Persi 40 mila posti di lavoro
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Di Angelo Gardella*

Che il Paese navighi in acque tempestose è un dato di fatto. Addossare la colpa alla pandemia è facile, ma è un pò come nascondere la polvere sotto il tappeto perchè i problemi del Belpaese hanno origini ben più lontane. La drammaticità della situazione economica italiana è l’effetto di troppi e gravi errori del passato.

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“Chi non ha memoria non ha futuro”, per cui è necessario far tesoro delle malefatte e invertire la rotta con decisione se vogliamo veramente costruire un futuro migliore. E siccome il futuro, per chi come noi ha già un piede nel burrone, è ora perchè dipende da cosa facciamo oggi, bisogna rimboccarsi le maniche ed evitare altri errori.

C’è chi teorizza che i mandanti delle disgrazie italiane siano i cosiddetti “poteri forti”. Tutto è possibile, ma mi sembra più realistico cercare le responsabilità nei “poteri reali”, perché la situazione italiana è il risultato dell’inconsistenza dei Governi che si sono succeduti, la cui unica coerenza è stata non aver saputo sostenere gli interessi della Nazione.

Adesso è stato chiamato Mario Draghi, uomo delle banche, autorevole interprete dei “poteri forti”, profondo conoscitore della politica economica e finanziaria internazionale, influente e stimato come pochi tant’è che è bastato il solo pensiero che potesse diventare Presidente del Consiglio per ridare fiducia ai mercati finanziari in un batter d’occhio. 

E’ persona che ha coscienza della gravità della congiuntura che stiamo vivendo, non a caso, appena qualche mese fa, nella veste di co-presidente del gruppo di lavoro del G30, aveva lanciato l’allarme dicendo che la situazione è peggiore di quel che appare e che le autorità devono agire urgentemente. Bene, adesso ci aspettiamo che metta a disposizione le sue indiscutibili virtù a fin di bene per il Paese.

Ciò che appare oggi, giusto per snocciolare quattro numeri in croce, è che nel 2020 l’Istat ha registrato  444mila occupati in meno e un tasso di disoccupazione giovanile che sfiora il 30%, in crescita rispetto a dicembre 2019. La perdita di fatturato delle imprese, secondo uno studio recente della Cgia di Mestre, nel 2020 è di 423 miliardi di euro, mentre i ristori stanziati ammontano ad appena 29 mld pari al 7%. Molte aziende hanno chiuso e tante sono con l’acqua alla gola. E a soffrire maggiormente è la piccola imprenditoria e i lavoratori autonomi, cioè le partite iva con le loro famiglie, il principale comparto economico che in passato ha contribuito a dare lustro al Paese. 

Il debito pubblico nel 2020 ha subito un’impennata di oltre 20 punti attestandosi intorno al 160% del Pil, anch’esso in caduta libera (-7,8%). La pressione fiscale, misurata come ammontare delle imposte dirette, indirette, in conto capitale e dei contributi sociali, in rapporto al Pil è salita al 42,4%, ed è solo un dato parziale perchè il prelievo effettivo è notoriamente ben più consistente attraverso un labirinto di norme e gabelle in cui è perfino diventato impossibile districarsi. 

E la situazione, come ha detto il Prof. Draghi sarebbe anche peggiore. Da crederci. E’ evidente che il peso del nostro debito pubblico e la drammatica crisi che ci assilla impongono soluzioni immediate ancorché straordinarie e finiamola di aspettarci regali dall’Europa: Christine Lagarde (Bce) ha già detto che i debiti si pagano, senza se e senza ma. Bisogna ripartire presto e con il piede giusto, bisogna ridare alla gente la speranza, l’entusiasmo di fare impresa, di realizzare idee e progetti, di sognare, tutti concetti che ormai sono un lontano ricordo. 

In pole position deve esserci un piano straordinario di rilancio dell’economia che non potrà prescindere da una riforma fiscale seria che, al contrario di quanto fatto finora, non si limiti a mettere delle pezze qua e là creando solo confusione e nessun risultato apprezzabile, se non danni, ma un cambio strutturale di sistema basato su principi irrinunciabili, semplificazione, chiarezza, trasparenza, riduzione e razionalizzazione del prelievo, con una giusta progressività che è principio di equità. In un momento di profonda depressione il passaggio da un sistema inadeguato, complesso e deprimente, come quello attuale, a un sistema efficiente, chiaro e trasparente potrebbe non richiedere neppure imponenti coperture poiché si autoalimenta con la crescita dell’economia e delle entrate. 

Parallelamente a una riforma fiscale rivoluzionaria non deve mancare una vera pace fiscale per ricostruire il necessario rapporto fiduciario tra Stato e contribuenti e voltare pagina. Ma non si commettano gli errori del passato, deve essere una pacificazione tombale e sostenibile, deve riguardare tutti i debiti tributari pregressi senza discriminazioni di tempo o di imposta, uno spartiacque fra l’attuale sistema, quello dello Stato autocrate, verso una nuova concezione, quella dello Stato che sostiene i cittadini per crescere insieme.

L’attuale sistema, come abbiamo visto, ha prodotto disastri, ne sono esempio mille miliardi di crediti dello Stato in gran parte inesigibili (fonte Agenzia delle Entrate), o i 50 mln di contestazioni fiscali che stanno per partire con la conseguenza che migliaia di persone non potranno più lavorare alla luce del sole, insomma, un sistema divenuto ingestibile, imploso su se stesso. 

La realtà è uno Stato in debito di reputazione e un popolo sfinito nello sconforto dilagante che a volte porta perfino al suicidio, altre volte esplode nella violenza. 

Alla luce dei fatti una vera pace fiscale è un atto dovuto, è un atto di civiltà e di necessaria conciliazione. Occorre dare la possibilità al cittadino di pagare ciò che può e come può creando i presupposti per una ripartenza su nuove basi. E non nascondiamoci dietro a patetici moralismi e facciamo ciò che è utile all’economia del Paese. C’è ben altro di immorale.

Immorale è un carico fiscale che in certi casi non lascia il minimo per la sopravvivenza, immorale è l’accertamento esecutivo secondo cui prima si deve pagare, pena il pignoramento dei propri beni, e solo dopo si possono far valere le proprie ragioni, immorale è il divieto di dedurre spese effettivamente sostenute per la produzione del reddito al solo scopo di ampliare l’imponibile fiscale e poter dire non abbiamo aumentato le tasse, immorale è il caos normativo, immorale sono gli sterminati adempimenti e la burocrazia asfissiante, e si potrebbe continuare all’infinito con esempi ancora più efficaci. 

Insomma, dobbiamo essere consapevoli che ci attendono cambiamenti radicali e sfide difficili che dobbiamo vincere per progettare insieme, Stato e cittadini, la rinascita del Paese. E per questo la crisi mondiale generalizzata è anche una opportunità. Se la perdiamo non c’è storia. 

*Coordinatore Centro Studi Partite Iva insieme per cambiare

Tags: Cgia mestrecovidcrisiMario DraghiPace fiscalepartite ivaPilPMI
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