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Home Società food

Quando uno la Sicilia ce l’ha sempre in bocca

Claudia Bartoli di Claudia Bartoli
04 Marzo 2021 19:48
in food, Società
Tempo di lettura: 4 minuti
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Quando uno la Sicilia ce l’ha sempre in bocca
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Quando si parla di cucina regionale, la Sicilia non passa certamente inosservata. Molti dei piatti tipici che definiscono l’identità della regione più meridionale del Belpaese, affondano le radici in tradizioni vetuste e in ricette che sono spesso il risultato felice di commistioni inter e multiculturali. Iniziamo dalla fine (del pasto!). I dolci siculi, in una partita ideale, conquistano a pieno diritto un ruolo da giocatori protagonisti non solo nel panorama della pasticceria italiana, ma anche al di là dei confini nazionali.

La leggendaria cassata, epilogo d’obbligo dopo un pranzo pasquale, trae origine dall’incontro fra la ricotta, materia prima dell’isola sin dai tempi della Magna Grecia, con zucchero e limone, importati dagli arabi durante la dominazione (IX – XI secolo). Ma bisogna attendere, però, gli spagnoli per trovare in Sicilia il cioccolato e il pan di Spagna e l’età Barocca in cui, con l’avvento della frutta candita, la ricetta potrà considerarsi completa. Sempre di origine ispanica sono gli ingredienti del noto cioccolato di Modica. La ricetta di questo “oro” dolce, priva di burro, ma ricca di spezie e aromi, viene tramandata di padre in figlio sin dai primi anni del ‘700.
Ma passiamo, ora, allo street food salato: quello a base di riso “rotondo” più mangiato e replicato di sempre. L’isola si divide tra parte occidentale e il suo versante opposto in una diatriba senza tempo sul sesso di questa deliziosa “sfera” fritta. Arancino o arancina? Ecco il vero dilemma moderno dell’enogastronomia! Il sanguinoso derby Palermo – Catania è stato vinto dalla seconda “squadra” in gioco, grazie all’intervento dell’Accademia della Crusca che ha (per il momento) sedato la battaglia. Liti a parte, sembra che anche questa pietanza sicula per eccellenza, vanti un’antica maternità araba: la ricetta originale? Riso, agnello e zafferano.
Dopo aver esplorato i celebri mercati palermitani attraverso banchi colmi di pani con panelle di ceci e ca meusa(milza), passando discretamente nella campagna sicula più autentica, dove caponata e primi popolari vengono ancora preparati secondo le regole della cucina povera contadina, si arriva alla pietanza sapida più preziosa: il mare.
Proprio le sue acque spumeggianti ci regalano le materie prime grazie alle quali è possibile gustare le migliori specialità siciliane doc.
Con una vista su quel mare di Sicilia, tra Castelvetrano e Selinunte, nasce e cresce lo Chef Daniele Mangiaracina che i sapori dell’isola ha trasportato nel suo ristorante Sughero, inaugurato nel 2015.
Facciamo, però, un passo lungo indietro. È il 1999 quando Daniele, che è ancora ignaro del suo futuro da chef, arriva a Roma per seguire un corso di restauro. Due anni più tardi, lascia un percorso artistico per cominciarne uno nuovo, diverso. Dal laboratorio ai fornelli: deciso ad assecondare una passione da sempre esistente e da allora mai più sopita. Si sa che, insieme all’entusiasmo, il segreto per una carriera brillante sta nell’impegno, così per Chef Mangiaracina inizia la fase di studio intenso, con due differenti corsi di cucina tra Roma e Chioggia. Arriva, poi, un periodo di lavoro romano, e nel 2008, un volo con destinazione Parigi lo farà atterrare direttamente nel ristorante Armani, nel cuore pulsante del quartiere Saint Germain.
“Quella francese è stata una bellissima esperienza; ho cucinato per il compleanno di Felipe Massa e Celine Dion era una cliente fissa.”
Dopo sei mesi parigini chef Daniele fa rientro alla “base” romana, portando con sé una valigia ideale colma di esperienza internazionale. Lavora in vari locali fino al 2015, l’anno in cui apre il suo ristorante nel quartiere romano Parioli. Dal tuffo nel passato si torna a pensare al presente.
“Volevo buttarmi in un progetto mio. Inizialmente avevo pensato di acquistare un locale al Quadraro, con l’idea di ricreare un microcosmo di quartiere sullo stile del Pigneto. Per caso ho visto un posto ai Parioli e me ne sono innamorato.”
Ma perché la scelta di chiamarlo Sughero?
“Il nome è opera della mia socia Lavinia. Il sughero è un pesce azzurro povero, ma ricchissimo di sapore. Racchiude la nostra idea di cucina tutta incentrata sul mare e sui suoi sapori naturali.”
E la decisione di proporre un menu a base di solo pesce? Lo Chef racconta che è una questione di provenienza geografica e di legami con un territorio che certi prodotti li offre naturalmente e, in cui, è più complicato trovare materie prime scadenti che ottime.
“Da ragazzino passavo sei mesi l’anno in spiaggia. A casa mia il mare ha sempre fatto parte della tavola, mangiare era un’attività fondamentale. A 43 anni ancora ricordo quando mia madre e mia zia preparavano il cous cous con il brodo di trenta pesci diversi. Era un evento.”
Se il piatto che più lo riporta all’infanzia è un classico della cucina trapanese, quello a cui tiene di più e che prepara per i suoi clienti è lo “spaghettone” con i gamberi rossi di Mazara: una pasta che fa emergere un legame con la sua terra, stretto ma senza costrizioni.
È proprio questa l’essenza che si rinviene nella cucina dello Chef Daniele Mangiaracina: un amore per la Sicilia, autentico, però privo di vincoli e stereotipi.
Sughero, infatti, non è un ristorante siciliano, ma attraverso le pietanze preparate dalle mani sapienti dello Chef traspare naturalmente la sua origine made in Sicily. È un locale piccolo, in cui le dimensioni contano e sono state scelte accuratamente per poter garantire alla clientela affezionata e “affezionanda” una ristorazione di altissimo livello qualitativo. Anche il delivery segue la stessa linea: i fish burgher e sughi sono preparati da Daniele con le stesse materie prime preziose e consegnati a domicilio direttamente da Lavinia.
“Sughero è improntato su di noi, parla di Daniele e Lavinia; lei è la sala, io la cucina e insieme non solo possediamo, ma siamo questo posto.”
È una storia di appartenenze. Ad un luogo, in cui lo chef Daniele Mangiaracina ha “investito” il cuore e verso una città, non sua, ma che ormai è un po’ come se lo fosse.
La cosa che più gli manca della Sicilia?
“Il mare. Quello di quando era bambino e che anche ora, attraverso la cucina, continua ad essere costante certezza della sua vita”.

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