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Home Giustizia

Intelligenza artificiale e amministrazione della giustizia: il caso del giudice-robot

Michele Mattei di Michele Mattei
15 Giugno 2022 06:11
in Giustizia, Tech
Tempo di lettura: 3 minuti
A A
Il giudice onorario, ghostwriter a cottimo della giustizia italiana
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Ha recentemente destato clamore la notizia del presunto utilizzo, in Cina, di quello che è stato definito un “giudice-robot”, ossia un software in grado di sostituire interamente le funzioni del magistrato. Il sensazionale evento, risalente al dicembre 2021, è stato riportato da numerose testate giornalistiche internazionali, che in alcuni casi si sono lasciate andare ad amare considerazioni su un probabile avvento di un cupo futuro di stampo orwelliano.

Difatti, stando alle ultime indiscrezioni in merito, il software in questione, entrato in azione nella procura di Shangai Pudong, sarebbe in grado di analizzare migliaia di pronunce giudiziarie per offrire una soluzione al caso in quel momento sottoposto allo scrutinio del giudice. Il programma, elaborato dai ricercatori della Chinese Accademy of Science, avrebbe quindi la possibilità di attingere da un archivio di circa 17mila casi, risalenti al periodo tra il 2015 e il 2020, analizzandoli con precisione allo scopo di giungere ad una propria conclusione. In particolare, secondo gli studiosi cinesi, tale soluzione sarebbe fornita con un’accuratezza impressionante pari al 97%.

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Tuttavia, occorre qui specificare che l’utilizzo del software risulta essere limitato, essendo stato calibrato solo su otto dei crimini più comuni: ovvero frode con carta di credito; scommesse clandestine; guida pericolosa; violenza internazionale; intralcio all’attività pubblica; furto e frode generica. Inoltre, al di là degli innumerevoli allarmi lanciati dalla stampa internazionale, il software non sembrerebbe in realtà essere stato concepito per emettere sentenze in totale autonomia, ma bensì come supporto all’attività decisoria del giudice, alleggerendone il carico di lavoro nel contesto di una procura come quella di Shangai Pudong che solitamente si trova a gestire un altissimo numero di controversie.

La curiosa vicenda brevemente descritta non deve però essere considerata come un bizzarro elemento isolato, ma come parte di una più ampia strategia di sviluppo dell’IA da parte proprio del governo cinese. L’obiettivo di tale strategia, lanciata nel 2017, è quello di rendere entro il 2030 la Cina il paese leader a livello globale nel campo dell’innovazione legata all’intelligenza artificiale, prendendo dunque in considerazione quest’ultima come un elemento centrale per la futura trasformazione industriale ed economica della nazione stessa.  

Quello a cui si sta assistendo in questi anni, quindi, non è nient’altro che la messa in atto di una serie di manovre a lungo termine riguardo lo sviluppo della tecnologia legata all’intelligenza artificiale, declinata dal governo di Pechino nell’ambito di molteplici settori, compresa naturalmente l’amministrazione della giustizia. In quest’ottica, peraltro, la spinta allo sviluppo tecnologico si è intrecciata con la recente riforma del sistema giudiziario, dando vita ad una miscela formidabile che ha significativamente contribuito ad un sempre maggiore impiego dell’IA nei più disparati aspetti dell’amministrazione della giustizia, come ad esempio dalla creazione di semplici database online all’elaborazione di software in grado di attingere a tali database per fungere da supporto al giudice nel processo decisorio. 

Da sottolineare, infine, che tutto ciò sta avvenendo in un quadro sempre più ampio e articolato di strumenti, che certamente richiederà innanzitutto un progressivo adeguamento anche del sistema normativo vigente. Insomma, alla luce di quanto analizzato, si può ipotizzare che l’avvento dei severi e implacabili “giudici-robot”, tanto temuti dall’opinione pubblica, sia stato rimandato ad un altro momento nel futuro, facendo così tirare un sospiro di sollievo ai loro colleghi in carne ed ossa.

Tags: Cinagiudice-robot
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