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Home Approfondimenti

Fatturato in crescita e zero tasse: così Amazon si prende gioco del fisco

Alessandro Alongi di Alessandro Alongi
26 Marzo 2019 09:53
in Approfondimenti, Economia, Società, Tech
Tempo di lettura: 2 minuti
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Fatturato in crescita e zero tasse: così Amazon si prende gioco del fisco
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Boom di profitti per il gigante dell’e-commerce che, nonostante l’impennata degli affari, non verserà nulla al fisco americano, grazie alle riforme fiscali volute da Trump. Mentre infuriano le polemiche tra i Democratici e i Repubblicani, Bezos gode

di Alessandro Alongi

Realizzare utili e non pagare tasse non solo è possibile, ma si può ottenere anche un cospicuo rimborso dal fisco su quanto non versato. Negli USA la realtà supera la fantasia, e il premio come miglior “equilibrista fiscale” va ad Amazon che, grazie alle recenti riforme tributarie volute dal Presidente Donald Trump, a fronte di 11 miliardi di utili realizzati, non ha versato un centesimo all’erario. Anzi, Jeff Bezos, patron della più grande piattaforma di e-commerce del mondo, vanta un credito fiscale nei confronti del governo federale pari a 129 milioni di dollari.

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Amazon si trova in una posizione unica per utilizzare l’intera gamma di possibilità offerte dalle recenti leggi fiscali dello zio Sam grazie agli investimenti effettuati in ricerca, macchinari e stock option: sono questi i primi effetti delle riforme volute dai conservatori di Donald Trump che, se sapientemente dosate, possono ridurre a zero la tassazione dovuta, complice anche l’abbassamento delle aliquote sulle imposte societarie dal 35% al 21%.

Il dibattito sulle regalie fiscali ha avuto inizio grazie alla dura presa di posizione da parte di Bernie Sanders, il candidato democratico alla Casa Bianca nella prossima tornata elettorale: «Se avete pagato i 119 dollari richiesti per l’abbonamento Amazon Prime, avrete sborsato una cifra più alta di quella che Amazon pagherà in tasse» ha twittato laconico il senatore Dem, che ha rincarato la dose qualche giorno dopo affermando che «Il nostro lavoro è quello di annullare le agevolazioni fiscali di Trump per l’1% dei più ricchi e per le grandi aziende e di richiedere che paghino la loro giusta quota di tasse».

Le polemiche sul mancato versamento tributario si sommano al grande fastidio provocato dalla tentata operazione finanziaria di inizio anno, quando Amazon era in procinto di beneficiare di incentivi fiscali per 3 miliardi di dollari, sovvenzione finalizzata alla costruzione di un secondo quartier generale a New York, progetto accantonato per la fiera opposizione dei politici locali e la mobilitazione della comunità di Long Island.

Tale polemica ha riaperto il dibattito (mai sopito in realtà) sulla necessità di aggiornare il sistema fiscale in modo da ricomprendervi i fenomeni legati alla nuova economia dematerializzata, urgenza avvertita da tutte le istituzioni, non solo americane ma anche europee, come un punto non più rinviabile, e in questa sede si collocano le diverse proposte, anche in sede comunitaria, volte a tassare i giganti del web.

«Le tasse societarie si basano sui profitti, e non sulle entrate, e i nostri profitti rimangono modesti, dato che la vendita al dettaglio è un’attività altamente competitiva e a basso margine», si è difeso il gigante di Seattle, che però non ha potuto negare l’evidenza. Del resto, anche in casa Amazon, la matematica non è un opinione.

Tags: amazonFiscointernetUSAweb
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Alessandro Alongi

Alessandro Alongi

Alessandro Alongi collabora nell’ambito del modulo di “Diritto della rete” all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, è specializzato in Relazioni istituzionali e Diritto parlamentare e attualmente si occupa di tematiche giuridiche e regolamentari presso l’Organo di vigilanza sulla parità di accesso alla rete di TIM, oltre a svolgere attività di ricerca nell’ambito del Diritto dell’innovazione, del quale è autore di diversi studi e approfondimenti.

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