di V. Sor.
Arriva marzo e come ogni anno, prima dell’equinozio di primavera o l’ora legale, arriva la giornata internazionale delle donne, simbolo di conquiste di diritti sociali, economici e politici, a partire dal lontano 1922, anno della prima manifestazione in Italia e dal 1946, anno del riconoscimento del diritto di voto: si moltiplicano eventi, manifestazioni e dibattiti su problematiche vecchie e nuove, si discute di gender pay gap, si propongono soluzioni. Quest’anno, la giornata si colora un significato diverso: la crisi economica causata della pandemia ha riversato i suoi effetti proprio sulle donne: i dati impietosi forniti dal Rapporto sul mercato del Lavoro 2020 pubblicato dall’Istat, ci dicono che, tra le categorie più colpite ci sono proprio loro, le donne: nel secondo trimestre 2020 il crollo dell’occupazione femminile ha registrato un -454.000 mila unità rispetto al primo trimestre 2020 e un -841.000 rispetto al secondo trimestre 2019. Gli effetti della crisi hanno avuto forti ricadute anche sull’assetto economico e sociale: è aumentato da 17.8 a 18.3 il gap di genere sul tasso di occupazione già presente prima della pandemia: almeno fino al terzo trimestre 2020 le donne, tradizionalmente occupate in posizioni lavorative meno tutelate e insettori fortementecolpiti dalla crisi,hanno subito cali rilevanti dell’occupazione:si va dal -16,7% nei servizi domestici nel secondo trimestreal – 16,1% del comparto alberghi e ristorazione; dal -5,8% dell’occupazione al femminile nel commercio al -3,8% nelle attività immobiliari, professionali e servizi alle imprese.
Il lockdown, prolungato oltre ogni aspettativa, ha provocato spesso nelle donne scoraggiamento, maggiori carichi familiari dovuti alla chiusura delle scuole, all’esclusione da taluni settori produttivi, alle limitazioni agli spostamenti. Nei primi nove mesi dell’anno, secondo i dati Istat, le donne risultano più penalizzate anche sul versante delle assunzioni: rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, si segnala un calo del 26,1% di nuovi contratti al femminile rispetto al -20,7% di contratti attivati per gli uomini.
Le misure introdotte per arginare il calo dell’occupazione, blocco dei licenziamenti e cassa integrazione, hanno privilegiato in prevalenza gli uomini: le donne beneficiarie di cassa integrazione sono il 27% del totale delle occupate mentre il corrispondente valore per i maschi si attesta al 60%.Aumenta il numero delle donne inattive: rispetto a giugno 2019, nel 2020 sono 707.000 in più le donne che scelgono di lasciare il lavoro o di non cercarlo. Il lavoro di cura della famiglia, ancora oggi non retribuito, a volte impedisce loro di cercare o mantenere un impiego retribuito. Già i dati Eurostat relativi all’anno 2019 riportavano una percentuale di donne inattive più alta in Italia rispetto agli altri paesi europei (15,2%) e la pandemia ha aggravato la situazione. Le donne che hanno continuato a lavorare hanno subito, invece, un sovraccarico mentale causato da scuole chiuse e cura dei figli più elevato rispetto agli uomini.
Il lavoro in smart working “forzato”, come dimostrato nel rapporto sulle problematiche delle lavoratrici in lockdown, presentato dalla Ugl – Confederazione Roma il 4 marzo scorso, nonostante indubbi vantaggi nella conciliazione delle esigenze di vita e di lavoro delle donne, ha fatto emergere alcuni aspetti negativi: il 59,7% delle donne intervistate su un campione rappresentativo di aziende di medio-grandi dimensioni, ha dichiarato di aver subito disagi in smart working, per situazioni familiari difficili o per l’isolamento e la mancanza di confronto con i colleghi.
Ma c’è di più. Permangono oggi sostanziali divergenze retributive tra uomini e donne, a parità di funzioni: il gender gap adjusted, la differenza tra salario annuale medio, a parità di ore lavorate, di donne e uomini è pari al 23,7%, contro una media europea del 29,6% (dati Eurostat); il fatto che in Italia la percentuale sia più bassa che altrove non indica però una situazione migliore. Nel privato il gapè molto alto, dunque l’indice risente di una maggiore presenza femminile nel pubblico, dove le retribuzioni sono stabilite in modo rigido.
Le donne, nonostante un livello di istruzione spesso più elevato degli uomini, riescono ancora oggi ad accedere con difficoltà ai ruoli dirigenziali. Secondo i dati del The Global gender gap report 2020, le donne manager in Italia sono il 27% dei dirigenti totali; si attestal 34% la presenza delle donne nei consigli di amministrazione. Il rapporto da poco divulgato da Donne Manageritalia mostra alcuni segnali di ripresa: cresce il numero delle donne manager e la dirigenza delle aziende si colora sempre più di rosa (+ 49%, dal 2008 al 2019), a fronte di un calo del 10%degli uomini. La crescita, in atto da anni, è continuata anche nell’ultimo periodo, nonostante la crisi che ha colpito anche il settore della dirigenza. Un forte incremento si registra nel terziario dove, dal 2008 al 2020, afronte di una crescita totale del 14,7%, la presenza femminile è cresciuta del 51%.
Segnali positivi dunque e in controtendenza rispetto al generale calo dell’occupazione femminile nel periodo della pandemia ma non sufficienti. Come ha sottolineato la giuslavorista Rocchina Staino nella presentazione del rapporto Ugl Confederazione Roma, le politiche per la parità di genere da semplice punto di un programma di governo dovranno diventare, oggi più che mai, il centro di iniziative più ampie per lo sviluppo economico e sociale del Paese. La legge di bilancio 2021, per agevolare l’occupazione femminile, ha introdotto l’esonero contributivo per le assunzioni di lavoratrici donne, nella misura del 100% e previsto un fondo per l’imprenditoria femminile con contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati alle imprese condotte da donne.
Nell’UnioneEuropea, il Parlamento ha approvato, il 21 gennaio scorso,una risoluzione sulla nuova strategia UE per la parità di genere dopo che la Commissione aveva presentato lo scorso anno, la strategia per la parità di genere 2020-2025. Il tentativo è quello di porre in essereuna serie di azioni chiave contro le discriminazioni di genere, per garantire pari partecipazione e opportunità nel mercato del lavoro e l’equilibrio di genere nel processo decisionale e politico.
Ma non basta, per una effettiva parità di genere occorre ripensare le priorità politiche ad ogni livello, gli spazi, le relazioni e le priorità; è necessario inquadrare il lavoro di cura come una responsabilità condivisa e fornire elementi comunitari strutturali, che permettano una parità di genere non solo sulla carta. In concreto,più che quote rosa, occorrono asili nido, strutture per anziani, trasporti pubblici potenziati e servizi essenziali efficienti.
Le parole del premier Draghi al Senato sembrano cambiare marcia: “la mobilitazione di tutte le energie del Paese nel suo rilancio non può prescindere dal coinvolgimento delle donne”, ha dichiarato nella lettura del programma del suo Governo ma ora si passi dalle parole ai fatti!