È ricominciato l’anno scolastico e, con cadenza settimanale, esce la notizia che degli alunni verrebbero maltrattati o ingiuriati dalla propria maestra. Ma sarà vero? Facciamo una semplice controprova attraverso un confronto con gli altri Paesi occidentali. Il risultato ha dell’incredibile: le maestre violente e maltrattanti esistono solo in Italia. Non trattandosi di una questione genetica, la ragione sarà da cercarsi altrove e non certamente nei cromosomi delle docenti.
Analizzando a fondo la questione, ci si accorge, infatti, che sono molti i limiti, e tutt’altro che piccoli, relativi ai metodi coi quali vengono realizzate le indagini. A oggi sono circa 500 i procedimenti penali di Presunti Maltrattamenti a Scuola (PMS) pendenti sulle maestre e molti di questi sono giunti a giudizio con alterne sentenze. Appare inoltre evidente l’esplosone ingiustificata dei casi di PMS che risultano aumentati di ben 14 volte nel giro di soli sei anni (2014-2019). In altre parole, assistiamo a una moltiplicazione dei casi proprio da quando l’Autorità Giudiziaria (AG) ha “scippato” la competenza ai dirigenti scolastici (DS).
Piazzando telecamere nascoste in aule e mense scolastiche, a seguito di denunce da parte di genitori degli alunni, la palla di neve (PMS) si è trasformata (artificiosamente?) in valanga. Come vedremo, piazzare telecamere (nascoste e non) in una scuola dell’infanzia o nella primaria, equivale a installare autovelox nel circuito di Formula 1 durante un GP: un’operazione senza senso, finalizzata unicamente alla caccia di un colpevole e tutt’altro che concentrata sulla prevenzione dei PMS. Ma vediamo perché, cercando di dare un ordine logico ai numerosi aspetti critici delle indagini.
- Un caso di PMS è, a tutti gli effetti, un’indagine professionale mentre gli inquirenti sono per loro natura dei non-addetti-ai-lavori in materia scolastica/educativa/pedagogica, a differenza di dirigenti scolastici (DS) e Ispettori Tecnici Ministeriali (ITM) cui compete vigilanza, prevenzione, e intervento tempestivo a tutela della piccola utenza. Inquirenti, PM, giudici e pure avvocati, sono privi di conoscenza di dinamiche/gestione scolastica e nulla sanno di educazione, pedagogia e insegnamento. Chi, dunque, è titolato a occuparsi con competenza e successo se non i soli DS e ITM?
- L’AG, nella gran parte dei casi attivata dai genitori, cortocircuita inopinatamente il DS che invece deve dare risposta professionale e tempestiva alla segnalazione di un caso di PMS. Inoltre, gli inquirenti danno priorità alla ricerca della prova e non alla prevenzione del reato.
- Tali metodi d’indagine sono inadatti alla scuola: audiovideointercettazioni (AVI) non contingentate e seguente manipolazione con decontestualizzazione, selezione avversa, estrapolazione, drammatizzazione degli episodi filmati. Ancora più imbarazzanti sono quelle circostanze in cui i genitori si improvvisano detective e cuciono cimici nei grembiuli dei bimbi o registrano loro dichiarazioni “spontanee”.
- I progressivi (video) contestati non superano mai lo 0,1-0,4% delle “AVI ad libitum” e saranno selezionati dagli inquirenti-non-addetti-ai-lavori, infine saranno visionati dai giudici che mai vedranno le centinaia di ore di AVI per intero. Eppure, la Cassazione avverte che “i singoli episodi non possono essere smembrati per ricavare dall’esame di ciascuno di essi la sufficiente gravità indiziaria” e motiva il fatto spiegando che “gli episodi acquistano una diversa valenza se avulsi dal contesto di un’intera giornata di lezione della durata di cinque ore in un contesto quotidiano e mensile”. Parafrasando l’ineccepibile concetto espresso dalla Suprema Corte, possiamo affermare che “dalla visione di brandelli di filmato, non può che discendere una verità fatta a brandelli”.
- Il frequente ricorso dell’AG alla richiesta di proroga delle AVI contraddice l’urgenza e la gravità dei PMS: se i rischi per gli alunni fossero reali ed evidenti, non vi sarebbe alcuna necessità di ulteriori intercettazioni. Gli interventi in flagranza di reato (non tutti giustificabili a fronte di sentenze assolutorie) rappresentano infatti solamente il 5%. Due sono le riprove dell’assoluta assenza di pericolosità reale dei casi di PMS la prima è dovuta al fatto che ci troviamo in un “ambiente pubblico”, la seconda è che le parti civili non hanno mai prodotto certificazioni mediche attestanti lesioni fisiche, mentre i danni psicologici sono rivendicati solo dai periti di parte.
Ma se le metodologie d’indagine presentano profondi limiti ed evidenti perplessità, anche i dubbi giuridici non mancano.
- Filmando di nascosto un docente, si fa un’evidente violazione del suo “diritto alla riservatezza” che risulta peraltro tutelato da Costituzione e Statuto dei Lavoratori.
- Il capo d’accusa contestato è quasi sempre l’art. 572 e non art. 571 solo perché il primo è considerato “reato grave” e consente, in quanto tale, il ricorso alle AVI. Alcuni giudici sono giunti alla conclusione che detti “reati non integrano la soglia del penalmente rilevante ma esauriscono la loro censurabilità in sanzioni disciplinari o al massimo in ambito civilistico”. Si ha dunque il fondato sospetto che solo grazie alle AVI, e alle conseguenti manipolazioni, è possibile ottenere la “sufficiente gravità indiziaria”.
- Come in parte anticipato, i maltrattamenti in famiglia e a scuola sono contemplati dallo stesso articolo (art. 572 c.p.) pur presentando evidenti differenze di gravità/atrocità a svantaggio dei primi. L’ambiente scolastico è affatto diverso da quello familiare al punto da essere propriamente definito “parafamiliare”. Mentre in famiglia la mamma si occupa di educare il bimbo nella comunità familiare ristretta, la maestra a scuola introduce il bimbo alla socializzazione vera e propria con la comunità di riferimento. La scuola, a differenza della dimora che è considerata ambiente privato, è ritenuta luogo pubblico. Si differenzia perché ospita una relazione professionale vs una relazione genitoriale/affettiva; accoglie una comunità allargata con rapporto fino a 1:29 vs una comunità ristretta dove il rapporto è 1:1; ospita stili educativi multipli e multietnici anziché uno solo (quello proprio della famiglia) e via discorrendo. I metodi di una maestra devono per forza essere spicci, avendo a che fare con una moltitudine di bimbi. Infine, va sottolineata l’assenza della presenza maschile a scuola mentre questa è presente a casa nella figura del padre. Possiamo quindi concludere che esiste almeno uno stile educativo per singolo alunno (ma spesso più di uno, considerando le divergenze tra padre, madre e talvolta l’influenza dei nonni). In ciascuna classe della scuola dell’infanzia, possono pertanto coesistere fino a 30 stili educativi. Lo stile educativo della maestra, unico avvezzo a operare in ambiente parafamiliare, è giocoforza esposto alla critica di tutti gli altri attori che però non possiedono la minima conoscenza della differenza tra ambiente familiare e parafamiliare. A confermare ulteriormente la differenza tra i due “ambienti” vi è infine l’incomparabile efferatezza tra i reati che si commettono tra le mura domestiche e quelli, assai più lievi, nella scuola.
- Perché in un procedimento penale si possa configurare un reato di “maltrattamenti”, si deve riconoscere una “abitualità” degli episodi contestati. Il problema interviene proprio nell’interpretazione del termine “abitualità” che è ovviamente soggetto alla discrezionalità di ciascun giudice.
- Un ultimo paradosso riguarda il reato di “abuso dei mezzi di correzione” (art. 571 c.p.). Dei cosiddetti “metodi correttivi” di fatto esiste solo la lista nera (scappellotti, sculaccioni, urla, umiliazioni, isolamenti, ingiurie etc) ma, neanche la Cassazione si sbilancia nel redigere una “lista bianca”. Va da sé che il reato di AMC non è configurabile.
Queste poche note per far comprendere che la questione, per quanto delicata, sarebbe di facile risoluzione se venissero anche da noi adottate le buone prassi di Paesi come la Gran Bretagna. In UK sono i DS (schoolmaster) a occuparsi dei PMS, mentre l’AG interviene eventualmente in seconda battuta e unicamente se il preside non risolve la questione. La diseconomicità delle indagini e la lunghezza dei processi appaiono del tutto sproporzionate e ingiustificate soprattutto alla luce della sciagurata cortocircuitazione del DS. Le telecamere non servono alla scuola perché chi legge le immagini non ha le necessarie competenze educative e pedagogiche. È sufficiente restituire ai DS le loro responsabilità e prerogative affinché esercitino il loro ufficio coi mezzi a loro disposizione.
Infine, la sofferenza personale delle maestre, la gogna mediatica, la loro salute psicofisica e le ingenti spese processuali, richiedono una trattazione a parte. Istituzioni e parti sociali, il fenomeno è in continuo aumento da dieci anni: ministro Valditara e sindacati, battete un colpo se ci siete.