Il debito pubblico ad aprile ha avuto una nuova impennata di quasi 15 miliardi di euro (raggiungendo la cifra monstre di 2mila 373 miliardi di euro), la spesa media delle famiglie rilevata dall’Istat è scesa sotto ai valori del 2013 e il debito commerciale della PA è cresciuto fino a quota 5,3 miliardi. Lo stato dell’arte prima del Consiglio Ue dove l’Italia rischia (non poco)
di Stefano Gianuario
“La prima volta non si scorda mai”. Una frase che può valere per tutto, che chiunque ha sentito o ha pronunciato nelle situazioni e con le persone più disparate. Ogni rito di iniziazione, qualsiasi primo passo nel corso del percorso di vita di ognuno, scolastico e accademico, personale e professionale, è caratterizzato da una serie interminabile e irripetibile di “prime volte”.
Un concetto che dunque si può dare per assodato, così come è altrettanto chiaro che esistano prime volte positive e prime volte negative, piacevoli e sgradevoli: i primati non sono solo sinonimo di eccellenza ma anche di grave mancanza, assoluta insufficienza.
Sarebbe curioso sapere se pensieri di questo tipo siano balenati anche tra le menti dell’esecutivo italiano quando hanno visto concretizzarsi la possibilità di ottenere la prima procedura di infrazione per debito eccessivo nella storia dell’Unione europea.
Un qualcosa che definire già nell’aria è dire poco: appena sei mesi fa, in quel dicembre tra proclami al balcone di Palazzo Chigi e attacchi più o meno diretti alla “dittatura della finanza”, la “manovra del popolo” che prevedeva uno sforamento del deficit al 2,4% si sgonfiò in una manciata di giorni. Si trattò di uno dei primi delicati lavori di diplomazia del presidente del Consiglio Giuseppe Conte che, insieme al titolare del Mef Giovanni Tria, riuscì a evitare la procedura tagliando frettolosamente di circa 10 miliardi di euro la manovra.
Ma la fine dell’anno si chiuse un po’ all’insegna dell’arrivederci, tra promesse generiche e impegni vari per raddrizzare un po’ il tiro, evitare una manovra correttiva, alleggerire la spesa pubblica e mettere in atto provvedimenti per far crescere, anche solo di qualche decimale, il Pil. Insomma, una sistemata generale ai conti sempre sotto il monito della procedura di infrazione.
La storia recente ci insegna che le cose non sono andate proprio così. Il primo semestre dell’anno è stato infatti caratterizzato da una lunga ed estenuante campagna elettorale senza esclusione di colpi che ha visto i due azionisti di maggioranza del governo impegnati in prima linea. Una battaglia fratricida ininterrotta che, a prescindere dal ribaltamento degli equilibri dopo il verdetto delle urne europee, non ha permesso ai due protagonisti di dedicarsi ai rispettivi incarichi governativi, trascurando quindi anche le promesse fatte a Bruxelles.
Inutile dire quanto i nodi, specie quelli così spessi e intricati, vengano poi al pettine, così come è altresì vano ricordare quanto poco abbia fatto l’Italia per riformare l’economia, condizione più che necessaria per rilanciare la crescita e ridurre il debito.
La Commissione Ue e i mercati hanno invece assistito a politiche economiche oscillanti che hanno messo sempre più in dubbio la credibilità italiana: da Quota 100 al Reddito di Cittadinanza – sebbene giudicate poco incisive da un po’ tutti i fronti – sino ai tentennamenti su Tav e grandi opere, dalla lunga gestazione dei decreti fiscali, per arrivare alla bordata dei mini-bot, per i quali si è dovuto scomodare anche Mario Draghi per rassicurare tutti sul fatto che non si stesse preparando una forma singolare di nuovo conio nazionale e dunque un’Italexit.
Certamente la politica necessita di un suo lessico e anche di prove di forza per parlare alla pancia del Paese ma, anche se da Bruxelles possono andare oltre certi toni – che pure impattano sui mercati però – non possono transigere sulle cifre: i conti devono tornare.
E nel frattempo il debito pubblico ad aprile ha avuto una nuova impennata di quasi 15 miliardi di euro (raggiungendo la cifra monstre di 2mila 373 miliardi di euro), la spesa media delle famiglie rilevata dall’Istat è scesa sotto ai valori del 2013 e il debito commerciale della Pubblica Amministrazione è cresciuto fino a quota 5,3 miliardi.
Tutti dati difficili da giustificare nella lettera che in questi giorni il governo italiano dovrà mandare alla Commissione per evitare la procedura.
La sentenza, perché di questo si tratta, arriverà infine il 9 luglio, quando dall’Ecofin decideranno se avviare o meno la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia.
Francia e Olanda, alle prese con i rispettivi debiti potrebbero allungare la mano e mitigare le decisioni della capoclasse Germania ma, considerati i rapporti con i compagni di classe dell’Europa, non può darsi nulla per scontato e, forse, l’Italia aggiungerà al palmares un nuovo (triste) primato.