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Home Esteri Europa

Esclusiva Lab / Il Cio sbaglia il latino sul motto olimpico

Andrea Koveos di Andrea Koveos
22 Luglio 2021 06:40
in Europa, Istruzione, Sanità, Società
Tempo di lettura: 5 minuti
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Esclusiva Lab / Il Cio sbaglia il latino sul motto olimpico
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Le olimpiadi 2020, che prenderanno il via domani a Tokyo, passeranno certamente alla storia per essere l’edizione della pandemia. Eppure quello dell’emergenza sanitaria rischia di non essere l’unico reale motivo per rendere questa edizione davvero speciale.

Per ricordare la kermesse a cinque cerchi il Comitato Olimpico Internazionale ha deciso, infatti, di modificare, dopo ben 127 anni di utilizzo il motto olimpico, aggiungendo la parola “insieme” – tradotta in latino – al famoso “Citius, Altius, Fortius“, con l’intenzione di sottolineare l’aspetto solidaristico dei Giochi nell’anno dell’emergenza sanitaria mondiale.

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Fin qui come direbbero i latini, nulla quaestio. E mai come in questo caso, la citazione latina è d’obbligo. Si dà il caso, purtroppo, che il board del Cio, guidato dal tedesco Thomas Bach nella scelta del vocabolo con cui tradurre in latino l’inglese together abbia sbagliato vocabolario o proprio non l’abbia usato.

Andiamo per ordine: il Cio sul sito ufficiale scrive: “The motto in Latin would be “Citius, Altius, Fortius – Communiter” and in French: “Plus vite, Plus haut, Plus fort – Ensemble”. Dopo 127 anni, si approva ufficialmente la variazione con l’aggiunta communis (poi corretta definitivamente in communiter) per sottolineare lo sforzo di combattere tutti uniti il Covid-19. Il nuovo motto è “Più veloce, più in alto, più forte – Insieme”. Ma se in inglese, francese e italiano la cosa fila, in latino no.

Ne abbiamo chiesto conto a Mario De Nonno, professore ordinario di Letteratura Latina presso l’ateneo Roma Tre, prorettore alla ricerca dell’Università e presidente pro tempore della Consulta Universitaria degli Studi Latini.

Professor De Nonno, alla vigilia delle olimpiadi di Tokyo il Cio ha deciso di cambiare il motto “Citius!, Altius!, Fortius!” adottato fin dalla sua fondazione, nel 1894, aggiungendo la parola “Communis”, poi cambiato in communiter. Si tratta di una scelta semanticamente corretta?

“Assolutamente no, anzi è una roba abbastanza assurda e le spiego perchè: mentre citius, altius e fortius sono tre avverbi al comparativo e vogliono dire più veloce, più in alto, più forte, communis è un nominativo maschile e femminile che non lega in alcun modo. Un ascoltatore latino si chiederebbe ma “communis chi?”, perché questo termine deve essere riferito ad una persona”. Anche Communiter non è il massimo: vuol dire comunemente, potrebbe andar bene morfologicamente, ma dal punto di vista semantico non è appropriato”.

Quale sarebbe secondo lei il termine corretto da utilizzare?

“Se si voleva tradurre l’inglese together c’era il termine latino “simul” certamente più adatto o, forse anche meglio, “una” che si rifà alla radice di unitario. Guardi, questo è un errore che lascia senza parole. E’ come scambiare in inglese his ed her in riferimento ad un uomo e una donna. Stiamo parlando di un vero e proprio errore di semantica”.

Molto sarà dipeso dal fatto che il latino è una lingua “morta”, nonostante i tentativi di riabilitarla con il cosiddetto uso del latino quotidiano.

“Il latino è una lingua ancora molto presente ad esempio nelle marche commerciali, pensi al gelato algida, o ai pigiami calida, sono neutri plurali di due forme latine che rimandano a freddo e caldo, a dimostrazione che l’uso di molti termini latini è ancora vivo anche a livello di comunicazione. E proprio in questo senso la scelta del Cio è sorprendente”.

Ha senso tradurre da una lingua moderna ad una antica?

“Tutto si può tradurre ma il latino è una lingua che ha una sua natura. E bisogna stare attenti all’errore che fanno anche i fautori del latino vivente. Il latino ha delle sue regole legate alla sua storia, non può essere deformato oltre un certo limite”.

Allora sarà forse che il presidente tedesco del Cio, Tomas Bach, non conosce il latino.

“Bhè, ma poteva almeno porsi il problema e chiedere in Germania dove mi risulta che ci siano ancora molte persone competenti”.

Tornando al motto, “una” sarebbe stato il termine giusto anche da un punto di vista del significato del termine, è così?

“Una sarebbe andato benissimo. Communis ha a che fare con il mettere in comune qualcosa, comunicare, diffondere, ma il concetto dell’agire insieme non è propriamente contenuto nel significato semantico di communis né di communiter”.

Proviamo almeno a discolpare il Cio con la finalità scelta per questa iniziativa che doveva essere, appunto, sottolineare l’aspetto solidaristico delle olimpiadi in era covid?

“Purtroppo anche questo tentativo possiamo dire che è fallito, almeno semanticamente. Ci troviamo di fronte al classico uso ideologico di una formula che andava benissimo com’era. Per carità, voler introdurre il concetto solidaristico è cosa apprezzabile, anche se un po’ contraddice al principio della competitività sportiva, ma in ogni caso il termine communis o communiter non ha la semantica della solidarietà ma quella della condivisione. Per identificare lo stare insieme bisognare scegliere un avverbio come Una, forse meno immediato come radice ma sicuramente più corretto”.

Competitività sportiva, inclusività, cambio del motto. Non vorremmo che anche questo tentativo, sbagliato per altro, faccia parte di quella “cancel culture” che già parecchi danni ha causato. Già che ci siamo, ricordiamo che il motto moderno “l’importante non è vincere ma partecipare” avrebbe fatto sorridere i greci per i quali l’importante era, appunto, eccellere.

Tags: cancel cultureCiocovidLatinoMario De NonnoOlimpiadi TokyoThomas Bach
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