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Home Società Istruzione

I (troppi) paradossi della scuola

Vittorio Lodolo D'Oria di Vittorio Lodolo D'Oria
18 Marzo 2023 07:35
in Istruzione, Politica, Società
Tempo di lettura: 7 minuti
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I (troppi) paradossi della scuola
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Dopo 32 anni, trascorsi a studiare la salute professionale della categoria docente, mi appare improvvisamente lampante un’evidenza mai notata prima: la scuola è terra di paradossi assoluti dalle radici profonde e inestirpabili. Provo a enunciarli per gravità decrescente.

  1. La professione dell’insegnante è fondamentale per formazione e crescita delle nuove generazioni; tuttavia, viene svilita con insulsi stereotipi dall’opinione pubblica (“lavorano mezza giornata e fruiscono di tre mesi di ferie/anno”). A proposito di ferie lunghe, mi limiterò a ripetere che, considerata la salute precaria dei docenti secondo i dati disponibili, sarebbe più corretto parlare di convalescenza piuttosto che di vacanza. 

Sembra impossibile far passare il concetto, solo apparentemente banale, che un’ora di lavoro trascorsa alla scrivania davanti a un computer è decisamente più agevole che formare un’intera scolaresca, sia essa di bimbi o di adolescenti, dove il coinvolgimento emotivo-relazionale è altissimo. Figurarsi poi se passa l’assunto che il lavoro del docente non sta solo nelle 18/24 ore di docenza frontali ma esiste una miriade di incombenze aggiuntive dalla correzione dei compiti ai colloqui coi genitori e via discorrendo. Basti ricordare quando nel 2012 il primo ministro Monti (che per giunta era un “tecnico”) etichettava gli insegnanti come egoisti poiché rifiutavano di allungare l’orario di lavoro senza corrispettivo economico. 

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  • A rimarcare il punto precedente ecco per i docenti una retribuzione miserrima (ultimi in Europa) che, a scanso di equivoci, conferma il refrain economico del “vali poco, ti pago poco”. Ma l’istituzione, a parole, sostiene il ruolo fondamentale degli insegnanti nel formare la società futura. 
  • All’alba del terzo millennio non sono ancora state individuate le reali malattie professionali della categoria, ritenendo che queste sono solo e semplicemente le disfonie (laringiti, corditi). Ne discende un nuovo paradosso: non è attuata alcuna prevenzione né per le disfonie, né per le più frequenti patologie professionali che risultano essere psichiatriche e neoplastiche. 
  • Sebbene, per i sindacati, siano terminati i fasti del passato possiamo ancora dire che la scuola resta l’ambiente lavorativo più sindacalizzato del pubblico impiego. Questo dato dovrebbe costituire una garanzia circa adeguatezza salariale e tutela della salute professionale, ma il risultato è, ancora una volta, paradossale e sconfortante. 
  • La composizione del corpo docente merita poi un’attenta considerazione poiché l’83% è costituita da donne. Fa dunque specie che una società (a parole) attenta alla parità di genere, alla violenza sulle donne, ed ai femminicidi, trascuri totalmente il fatto che la più ampia categoria di lavoratrici del pubblico impiego sia retribuita vergognosamente e non fruisca delle tutele di legge (art. 28 DL 81/08) quali il riconoscimento e la prevenzione delle malattie professionali. 
  • Le riforme previdenziali attuate (quattro nel giro di vent’anni: 1992-2011) non sono da meno. Tutte realizzate “al buio”, cioè senza effettuare a monte alcuna valutazione della salute professionale della categoria. Si passa così da un estremo all’altro: dalle baby-pensioni ai 67 anni prima di potersi ritirare a vita privata. Le ripercussioni sulla salute della categoria non si sono fatte attendere: dagli studi epidemiologici a disposizione emerge un drastico aumento delle diagnosi psichiatriche (dal 31 all’82%) nelle inidoneità lavorative per motivi di salute. In altre parole, l’allungamento dell’età lavorativa è direttamente proporzionale all’incidenza delle malattie professionali, ma basta ignorare il dato e la riforma passa sottotraccia realizzando l’ennesimo paradosso che si aggiunge al mancato riconoscimento istituzionale delle patologie e alla loro prevenzione.

Fin qui i grandi temi che riguardano la categoria (tutela della salute professionale, contratto e retribuzione, previdenza) dove istituzioni, politica e parti sociali non hanno ottenuto i risultati attesi ma, al contrario, hanno determinato paradossi insostenibili che da tempo mostrano la corda. Si tratta di un’infelice combinazione determinata semplicemente da congiunture sfavorevoli? Per rispondere alla domanda occorre la controprova: stringiamo l’obiettivo sul tema della salute professionale e analizziamo alcuni punti specifici e particolari significativi. 

  • Con apposita legge (art. 3 del DPR 171/11) si limita il ricorso all’accertamento medico ai soli dipendenti che hanno superato il periodo di prova. Tale disposizione è palesemente discriminatoria (e dunque verosimilmente incostituzionale) tra lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato. Lo strumento di tutela della salute, quale appunto l’accertamento medico in Collegio Medico di Verifica (CMV), diviene così fruibile esclusivamente dai secondi. Allo stesso tempo, in totale contrapposizione con quanto sancito all’art. 5 della L 300/1970, viene espropriata al dirigente scolastico la facoltà di sottoporre il dipendente (a tempo determinato) a controllo medico nelle sedi ad esso preposte. Viene dunque sottratto al dirigente scolastico – equiparato a datore di lavoro e perciò responsabile della salute dei suoi sottoposti – l’unico strumento che gli consente di ottemperare alle incombenze medico-legali del ruolo di appartenenza. Nessuna rimostranza in merito alla questione è stata fatta dalle Parti Sociali della categoria. 
  • Uno specifico provvedimento (DL 104 del 12.09.13) prevede l’integrazione del rappresentante MIUR (oggi MIM) nel Collegio Medico di Verifica (CMV). Tale disposizione va contro alle norme vigenti in base alle quali il datore di lavoro non può venire a conoscenza della diagnosi del lavoratore. Inoltre, la CMV è un consesso esclusivo di soli medici, dal quale è peraltro escluso il medico di parte, mentre il rappresentante MIM (che medico non è) non ha alcun titolo o qualifica idonea per parteciparvi. Anche in questa circostanza nessuna rimostranza è stata fatta dalle Parti Sociali della categoria. 
  • Con apposito provvedimento (adottato dal Ministro Giannini in data 01.04.14) è stata ridotta alla sola Commissione Militare Ospedaliera (CMO) di Roma la sede di svolgimento dei ricorsi ai giudizi espressi nei Collegi Medici di Verifica (CMV) presso i capoluoghi di Regione. Il provvedimento è oltremodo penalizzante per i lavoratori distanti dalla capitale e soprattutto per coloro che sono affetti da handicap motori o psicofisici gravi. È dunque auspicabile almeno ripristinare le quattro CMO di riferimento (Milano, Roma, Bari, Napoli) antecedenti al suddetto provvedimento. Anche qui nessuna rimostranza delle Parti Sociali. 
  1. Da ultimo desidero considerare un fenomeno esploso praticamente dal 2014 nella sola Italia: i cosiddetti Presunti Maltrattamenti a Scuola (PMS). Dal 2014 al 2019 è infatti inspiegabilmente aumentato di ben 14 volte senza apparente motivo, a meno che non si creda che le maestre italiane sono improvvisamente divenute streghe crudeli. Ancora una volta grazie al silenzio delle istituzioni e delle Parti Sociali l’Autorità Giudiziaria (AG) entra di soppiatto negli asili nido, nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole primarie con inquirenti che nulla sanno di pedagogia ed educazione. Nasconde telecamere all’insaputa dei docenti violando la loro privacy sancita dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, effettua intercettazioni ad libitum, estrae singoli episodi per farne un trailer, drammatizza ed interpreta le trascrizioni a proprio uso e consumo. Oggi è pertanto doveroso arginare il dilagante e debordante intervento (fra l’altro tardivo, intempestivo qualora ci fosse una emergenza reale, inutile, eccessivo, costoso, inadatto, pedagogicamente incompetente rispetto all’ambiente scolastico) dell’AG nella scuola con telecamere nascoste. Occorre restituire responsabilità e competenze al dirigente scolastico per garantire tempestività, sicurezza ed economicità. Bisogna impedire che il preside venga cortocircuitato da coloro (95% genitori) che vogliono sporgere denuncia, facendo in modo che il dirigente venga sempre attivato in prima battuta e l’AG solo in caso di fallito intervento del primo (come avviene ad esempio in UK).

Questo agire improvvido nei confronti della scuola non pare dunque essere casuale, così come paradossali i risultati raggiunti. A ulteriore evidenza si veda la terminologia usata per descrivere le conseguenze che una helping profession notoriamente comporta. La professione docente è nota per determinare burnout e work-related-stress (da noi biecamente tradotto come Stress-Lavoro-Correlato o SLC). Ma proprio qui, dietro questi inglesismi, si nasconde l’ennesimo raggiro per i docenti: sia il burnout che lo SLC non sono delle diagnosi mediche e non rappresentano alcuna patologia. Per essere precisi il burnout fa capolino nell’ultima versione del manuale diagnostico europeo (ICD11 del 2022) ma solo come “condizione” e non patologia. Va da sé che delle “non-patologie” non necessitano di attività diagnostiche, né di cure, né di prevenzione, ma soprattutto di fondi per contrastarle. È così che si risparmiano i soldi a spese della salute dei docenti e torniamo al punto di partenza.

Ma non tutto è perduto. La speranza trae origine dalla lingua latina che, attraverso l’etimologia, ci riconduce all’essenza del nostro agire richiamando la fondamentale collaborazione scuola-famiglia. I termini pater e materhanno in comune la desinenza “ter”, che significa terzo e sta a rappresentare il figlio. I genitori, per la crescita e l’erudizione della loro prole, desiderano il migliore tra gli educatori, il “di più”, che in latino si traduce con “magis2. Basta ora aggiungere la desinenza “ter” e otteniamo la soluzione di questo atipico rebus con la parola magister. La triade educativa essenziale necessaria a crescere e forgiare le nuove generazioni è dunque formata da padre, madree docente. Quest’ultimo poi occupa la posizione di vertice del triangolo. Il contrario di magister è invece minuster da cui invece deriva il termine ministro. A quelli che si rivolgevano a lui chiamandolo “magister” sant’Agostino chiedeva la cortesia di essere chiamato “minuster” per ricordargli che lui era una figura di servizio e non di vertice.

Ebbene il ministro Valditara è professore universitario di Diritto Romano, conosce perfettamente il latino, e nel lontano gennaio 2011 presentò una interrogazione parlamentare al MIUR chiedendo di affrontare tempestivamente il preoccupante problema del forte logoramento psicofisico degli insegnanti. Aspettarsi da lui un intervento in controtendenza rispetto ai suoi predecessori è più che legittimo anche alla luce del fatto che mi ha chiesto come poter intervenire a salvaguardia e tutela della salute della categoria docente. E perché finiscano i paradossi nella scuola, buon lavoro a ministro, politica e sindacati.

www.facebook.com/vittoriolodolo

Tags: docentiScuolaValditara
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