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Home Giustizia

Perché dico NO alla PAS (Sindrome da Alienazione Parentale)

Redazione LabParlamento di Redazione LabParlamento
15 Marzo 2025 10:05
in Giustizia, Società
Tempo di lettura: 5 minuti
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Perché dico NO alla PAS (Sindrome da Alienazione Parentale)
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a cura di Raffaele Focaroli, già Giudice Onorario Tribunale per i Minorenni di Roma

La PAS (Sindrome da Alienazione Parentale) non esiste! La scienza non la riconosce e non si è mai soffermata su questa pseudo sindrome. Tengo, quindi, a sottolineare che non esiste alcun articolo scientifico in cui siano proposti studi e ricerche che ne attestino la validità. Già nel 2014 la IX Sezione civile del Tribunale di Milano (nel decreto del 13/10/2014) il magistrato sottolineava l’irrilevanza di tale disturbo. 

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Come sappiamo, questa sindrome è stata sempre al centro di discussioni nell’ambito della psicologia e dell’ambiente medico ma per quanto alcuni clinici si sforzino di far passare come patologia il rifiuto del bambino verso un genitore, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) non riconosce la PAS come malattia. Nonostante tale sindrome sia priva di presupposti clinici e, quindi, non valida e affidabile, diversi consulenti tecnici d’ufficio e consulenti di parte, che operano nella giustizia minorile, continuano a sostenerla con forti ripercussioni sull’equilibrio psicologico ed emotivo di quei minori che si trovano invischiati in ambito processuale. Proprio nel contesto processuale, al fine di sottolineare la presenza di atteggiamenti di rilevanza patologica, i bambini, così come gli adolescenti, sono sottoposti a perizia da parte di psicologi, neuropsichiatri infantili e pedagogisti. 

Direi uno stress del tutto inutile dal momento che, sempre la IX Sezione civile del Tribunale di Milano, dichiara “la inammissibilità di accertamenti istruttori in ordine alla PAS, in quanto la sindrome di alienazione genitoriale è priva di fondamento sul piano scientifico». Tutto questo perché la PAS non è supportata da dati oggettivi, non rilevabili e lontani da ogni riscontro clinico. Anzi dico di più! L’essere stata ribattezzata come “sindrome della madre malevola” sposta l’asse sulla volontà di attribuire, con preconcetto, al genitore chissà quale azione distruttiva nei confronti dei padri. Cosicché la Suprema Corte, con ordinanza n. 286 del 24 marzo 2022, ribadiva il concetto che la giustizia, ma soprattutto il diritto, non possono basarsi sull’azione svalutatrice nei confronti di una madre. Con questa pronuncia la Corte, di fatto, ribaltava la Sentenza dell’Appello che si era pronunciata sulla decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre che sarebbe stata colpevole di aver alimentato nel figlio la PAS. 

In conclusione, sarebbe più opportuno, a mio avviso, che i Tribunali, probabilmente disorientati da CTU “pasiste”, strutturino i passaggi istruttori ed emettano sentenze non più sull’ipotesi che una madre sia la causa di terrore e spavento del figlio ai danni del padre ma, sulla verifica e il riscontro della violenza a cui un minore è stato sottoposto come spettatore all’interno del contesto famigliare. Questo è il compito dei Tribunali e dei Giudici. 

Dal punto di vista clinico, ciò che mi lascia ancora più perplesso è la meticolosità teorica adottata da Gardner (primo a parlare di PAS) nel descrivere la pressione piscologica del genitore nei confronti del figlio, quasi da sottoporlo ad un vero e proprio lavaggio del cervello utile a creare il vuoto affettivo verso il genitore alienato. E da qui, Gardner elenca tre livelli di alienazione genitoriale come effetto di questo comportamento: lieve, moderato e grave che si verifica quando abbiamo la presenza di aggressività nel manifestare il rifiuto dell’altro genitore. 

È facilmente intuibile come la specificità con la quale lo studioso descrive la sua sindrome presupporrebbe la presenza di solide ricerche che ne dovrebbero attestare l’attendibilità dopo aver adottato metodi di indagine o quantitativa (legata a dati matematici o statistici) o qualitativa. Inoltre, una volta individuata una delle due aree, la ricerca dovrebbe indirizzarsi su modelli correlativi, descrittivi o sperimentali. In Gardner tutto questo non lo si riscontra. La PAS, pertanto, è un costrutto teorico non affidabile e non afferente alla scienza e per tale motivo non utile in ambito processuale. Chiarito ciò è indispensabile sottolineare un altro fondamentale aspetto, la distinzione tra PAS e violenza vicaria o più conosciuta come “furto del figlio”. 

Spesso si fa confusione a tal punto da assimilare questi due concetti che, invece, sono diametralmente opposti. La violenza vicaria è determinata dall’individuo narcisista e violento che manipola il figlio al fine di vendicarsi sull’altro genitore. Come vediamo l’interpretazione si ribalta. È il genitore violento che la attua! Nella stragrande maggior parte dei casi sono le madri a subirne le conseguenze. Donne che non solo sperimentano personalmente la violenza ma che sono anche costrette ad essere sottoposte alla vendetta dei padri quando vengono lasciati. Come? Attraverso proprio “il furto del figlio”. 

La Legge 54 del 2006 non permette la distinzione tra l’essere soggetto violento e l’essere genitore. In sintesi, quindi, un padre narcisista, abusante e violento nei confronti della moglie, secondo il presupposto della legge, può esercitare la responsabilità genitoriale. 

Io parto da presupposti diversi: se sei un soggetto violento, a prescindere, non puoi esercitare la funzione genitoriale!La teoria di Gardner, invece, abilità i soggetti violenti e accusa le madri di essere iperprotettive, simbiotiche e, quindi, alienanti. 

Altro aspetto da chiarire in modo fermo è la distinzione tra violenza e conflitto. Spesso queste due dimensioni, forse per ragioni di comodo e di business, vengono volontariamente scambiate. Ricordo, a tal proposito, che il conflitto di coppia può considerarsi anche emotivamente costruttivo per un figlio. Infatti, se dal conflitto genitoriale il bambino riceve il messaggio educativo della risoluzione conflittuale questo non potrà che potenziarlo dal punto di vista dell’equilibrio psicologico. La PAS, quindi, incentiva la corsia privilegiata del collocamento dei figli verso chi esercita violenza e non verso chi la subisce. Il risultato che ne consegue è quello del collocamento del bambino al genitore violento, nella maggior parte dei casi i padri. 

Necessariamente chiarito questo aspetto, clinicamente dovremmo porci un’altra domanda: il bambino che è costretto ad essere spettatore della violenza di un genitore sull’altro, che adulto sarà? Sarà un adulto violento? Un adulto maltrattante? Sotto questo punto di vista la scienza ci aiuta. Infatti, le ricerche indicano chiaramente la possibile influenza sul minore costretto a vivere in ambienti violenti con forti probabilità di emulazione quando sarà adulto. Ed, inoltre, un soggetto violento potrà mai essere pienamente recuperato? Anche su questo è bene ricordare che molti operatori della psicologia forense hanno costruito un impero economico sulla riabilitazione dei padri violenti. Se, quindi, per trent’anni gran parte degli assistenti sociali hanno sposato la teoria della PAS è bene maturare l’idea che, ad oggi, non possiamo più permetterci di percorre questa strada così come non possiamo permetterci che donne che subiscono violenza siano anche sottratte al ruolo genitoriale. 

Per chi ha avuto, come me, esperienze professionali come Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni, sa bene che i magistrati sono, nelle valutazioni, condizionati dalle relazioni dei servizi. È difficile per un giudice assumere posizioni diverse rispetto a quanto riportato da un assistente sociale. Queste figure, che assumono il ruolo di collegamento tra il Tribunale e l’utenza, di fatto sono depositari di un ruolo determinante in quello che sarà poi il contenuto del dispositivo finale emesso dal Tribunale. Ci sono assistenti sociali, per fortuna non tutti, che operano affinché nei minori maturi la convinzione che un genitore sia violento o non adeguato. 

Questo non è più possibile! Se da un lato deve cambiare la cultura dei Tribunali dall’altro è necessario che anche il servizio sociale operi con professionalità motivando le sue valutazioni in termini scientifici e non più dettate, come spesso accade, da convinzioni personali da parte dei suoi operatori. Anche su questo, a livello istituzionale, sarebbero necessarie attente e scrupolose verifiche sull’operato di tali figure anche da parte delle Procure. Oramai, e di questo ne sono fermamente convinto, si deve porre un argine serio a tutela del minore sempre più spesso soggetto ad azioni “adulte” che minano in modo incisivo la sua crescita e la sua maturità psicologica.

Tags: alienazione parentaleviolenza
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