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Perché la scuola è il campo di battaglia della politica di retroguardia sociale

Simone Santucci di Simone Santucci
31 Gennaio 2019 21:30
in Commenti, Cultura, Europa, Istruzione, Società
Tempo di lettura: 3 minuti
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Perché la scuola è il campo di battaglia della politica di retroguardia sociale
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La scuola è lo specchio della globalizzazione, per questo chi si oppone ad un cambiamento irreversibile della società che muta vede la scuola non più come fucina di talenti ma come campo di battaglia per politiche di retroguardia e di mero consenso elettorale. Grazie a Pietre di Antonio Pileggi, ripercorriamo le tappe del decadimento di sistema educativo che pure fu tra i migliori d’Europa

di Simone Santucci

La lunga notte dell’Italia, che investe tanto il sistema giudiziario a quanto quello sociale, passa anche e soprattutto attraverso una preoccupante involuzione del sistema scolastico e accademico nazionale. I noti fenomeni dell’abbandono e della dispersione che caratterizzano l’istruzione italiana, unitamente ad un ventennio costellato di tagli e riformicchie stanno consegnando all’Europa e al panorama mondiale un Paese terribilmente in ritardo rispetto al trend che permette anche a realtà ancora in via di sviluppo, di eccellere in competitività.

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La malnutrizione culturale italiana appare poi ancor più allarmante se messa a confronto con l’Europa della partecipazione e dell’accesso allo studio, un fiore all’occhiello di una Unione che, almeno sotto il profilo del sistema dell’istruzione, continua ad eccellere e a permettere a migliaia di giovani studiosi di abbattere le frontiere e studiare. Per davvero.

Come nota Antonio Pileggi, nel suo nuovo libro Pietre edito da Rubbettino, in Italia, già poco dopo l’entrata in vigore della Costituzione, “la scuola italiana ha subito una evoluzione sempre più positiva in direzione dello sviluppo e del miglioramento della scuola che è stata aperta a grandi masse di giovani”. Eppure è proprio all’interno degli edifici scolastici che molti degli eventi che testimoniano la decadenza del laboratorio di conoscenza e formazione di un tempo in terreno di propaganda politica hanno avuto inizio.

Ricorda attentamente l’Autore, già nel 2010, alcuni episodi di cronaca riguardanti il mancato accesso alle mense scolastiche di alcuni bambini. Fenomeni tanto più preoccupanti quando a determinarli è l’autorità politica e amministrativa, auto-investitasi di una funzione pedagogica per mere esigenze contabili quando va bene ed elettorali quando va peggio. Non è un caso quindi – e all’Autore non è sfuggito – che molti dei temi cavalcati da alcuni partiti politici, in tema di immigrazione specialmente, abbiano spiccato il volo su scala nazionale proprio dopo una attenta “sperimentazione” di retroguardia propagandistica all’interno delle scuole.

La scuola è infatti il principale terreno del multiculturalismo, la prima frontiera dell’integrazione, riuscita o mancata, della società che è costretta a scontrarsi con la globalizzazione. E qualsiasi regime, autoritario o democratico che sia, è costretto a guardare alla scuola per avere la cognizione di che tipo di società è chiamato in quell’esatto istante.

Siamo di fronte – ed è provato da numerosi indagini indipendenti – ad un “impoverimento del livello culturale degli italiani”, nonostante i successi del sistema scolastico italiano storico. La caduta delle ideologie come bussola principale delle famiglie politiche attualmente in campo (nessuno escluso) ha poi peggiorato il quadro.

Senza le ideologie dentro i partiti, un tempo autentiche università sui generis, la cultura (con l’istruzione) passa in secondo piano per fare spazio a ben più redditizi temi da animali carismatici. E la commistione con il noto fenomeno delle fake news – grazie al quale non importa se un fatto sia o meno vero, ciò che importa è come lo si commenti e lo si cavalchi – appare fatale: la cultura, alla politica, non serve più, anzi, rischia di far perdere voti. La verità, la preparazione, al pubblico, al corpo elettorale, importa sempre meno. E costruire su queste basi il rilancio del sistema educativo italiano appare assai complesso.

Per questo, forse, l’unica ancora di salvataggio è forse l’Europa, ancora (ma chissà per quanto) poco incline a distorsioni di questo genere che pure, come l’esperienza italiana ha dimostrato, sono dietro l’angolo. Ecco dunque la prima (o l’ultima) pietra da cui ripartire e a cui aggrapparsi: l’Europa della conoscenza, della formazione e della condivisione. Chissà se la prossima generazione si accorga di questa deriva molto prima di quanto non si pensi.

Tags: globalizzazioneistruzioneScuolasocietà
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