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Home Società

Altro che caporali, al ministero della Difesa c’è chi parla di caporalato

Andrea Koveos di Andrea Koveos
16 Marzo 2021 06:50
in Società
Tempo di lettura: 4 minuti
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Altro che caporali, al ministero della Difesa c’è chi parla di caporalato
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Un facchino impiegato dal Ministero della Difesa per il giardinaggio

Quando si dice giocare a tutto campo, senza regole e senza arbitro.
Sono quarant’anni che centinaia di facchini lavorano per il Ministero della difesa con modalità quantomeno discutibili. Si tratta di personale di V livello, circa un migliaio di lavoratori, fornito per lo più da cooperative specializzate. L’oggetto del contratto, il più recente firmato nel 2019, è “prestazioni di manovalanza per operazioni di carattere occasionale ed urgente, comprese le attività di movimentazione con proprie attrezzature tecniche”.

Ma in pratica i facchini della Difesa fanno di tutto anche senza avere le abilitazioni necessarie: dai traslochi agli imballaggi, dal montaggio mobili alla stappamento delle fogne. E ancora imbianchini, giardinieri, camerieri e benzinai (avete capito bene: c’è chi si prende la responsabilità del rifornimento di mezzi militari). Lavoratori che chiedono di essere tutelati e stabilizzati. “Io non posso programmare il futuro – ci dice un operaio – non ho la possibilità di chiedere un mutuo, non avendo un contratto stabile. La scorsa settimana ho dovuto scegliere quale dei due miei figli curare: se mettere gli occhiali a uno o l’apparecchio all’altro”.

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Dalla fine degli anni 70 e inizi anni 80, dunque, la crescente necessità di manodopera ha fatto sì che i numeri del personale impiegato dal Ministero oggi guidato da Lorenzo Guerini aumentasse esponenzialmente con mansioni tra le più varie. C’è di più: in questo periodo, secondo quanto riferisce a Labparlamento un testimone, c’è chi si è occupato del cambio lenzuola per militari in quarantena. Incredibile ma vero: questi lavoratori, assunti per la movimentazione merci, sarebbero venuti a contatto con persone covidizzate e, a quanto riferiscono, senza la necessaria attrezzatura di protezione.

Basti pensare che, secondo le testimonianze di questi lavoratori, per quanto attiene le mascherine di protezione, la ditta appaltatrice avrebbe fornito esclusivamente una mascherina in cotone lavabile per ogni operaio. Dispositivo del tutto insufficiente in quanto, come da indicazioni fornite dal responsabile della dotazione del vestiario, risulta essere lavabile per un massimo di 15 volte.

Come si svolge la giornata tipo di questi lavoratori? Iniziamo col dire che la Direzione Generale di Commissariato e di Servizi Generali bandisce le gare di appalto per l’individuazione delle ditte che opereranno con contratto collettivo nazionale nel successivo triennio. Le ditte vincitrici, successivamente, sottoscrivono un proprio contratto con i dipendenti, consistente in 14 ore settimanali di impiego. Per ogni ora di lavoro effettivamente svolto da ogni singolo operaio, la Ditta percepisce dall’amministrazione circa 22 circa euro e provvede al pagamento degli operai nella misura di 6,84 euro l’ora.

Questi lavoratori, che prendono ordini da un maresciallo incaricato, devono essere sempre a disposizione e di norma vengono avvertiti appena 48 ore prima, anche per attività non considerate urgenti. Labparlamento è entrato in possesso di prove inconfutabile sull’impiego più disparato di questi operai, molto spesso impiegati in lavori anche specializzati che richiederebbero preparazione e soprattutto strumenti di sicurezza sul lavoro dei quali ovviamente non sono dotati.

Chi non risponde “presente” alla chiamata non viene pagato. Trattandosi di lavoro a “gettone”, capita spesso che per soddisfare una particolare esigenza estemporanea, il personale operaio venga impiegato per ben oltre le 56 ore mensili previste, arrivando perfino a cento ore. Tale sforamento comporta che le ore lavorate in eccesso in quel determinato mese vadano ad intaccare il monte ore annuale previsto dal contratto, con conseguente decurtazione dell’orario nei mesi successivi e, quindi, un ulteriore aggravio sulla busta paga.

È bene ricordare che nel 2003 il contratto stipulato con questi operai era full time a tempo indeterminato (36 ore settimanali), mentre l’attuale contratto prevede solamente 14 ore settimanali di lavoro, senza diritto al pasto e soprattutto senza diritto all’acqua, anche laddove non c’è acqua potabile. In aggiunta, con l’attuale contratto, anche in caso di malattia o assenze per cause legate alla legge 104, la retribuzione avviene sempre con il limite delle 14 ore settimanali. E se la prognosi della malattia è inferiore a 4 giorni, la stessa non viene retribuita. “Quindi se ti fai male sul posto di lavoro – racconta ancora un facchino a Labparlamento – meglio tenere la bocca chiusa, tanto più se stai svolgendo un’attività che non rientra nelle tue mansioni”.

Che al ministero della Difesa ci siano i caporali non stupisce nessuno. Ma il caporalato sarebbe un’altra cosa.
Abbiamo provato a contattare l’ufficio stampa del Ministero della Difesa, senza però ricevere risposta.

Tags: casermecooperativecovidfacchiniLorenzo GueriniMinistero della Difesa
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